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Luisa non ce l’ha fatta, il suo camice si era incastrato in un macchinario

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Quando si muore cosi, mentre si lavora.
Non chiamiamole morti bianche.
La vita è ceduta e così è morta, l’operaia padovana di 62 anni che lunedì scorso è stata vittima di un grave incidente sul lavoro a San Giorgio in Bosco.
Si chiamava Luisa e abitava a Villa del Conte. Una macchina l’ha tradita incastrandole il camice in un macchinario avvolgi-cavo, che l’ha soffocata.
La tragedia, è accaduta alla ditta che produce persiane avvolgibili.
Un collega, accortosi dell’incidente aveva tentato di rianimare Luisa, ultima vittima del lavoro che è andata a nutrire il folto numero di morti simili.
Il compagno di lavoro ha fatto il possibile, le ha praticato un massaggio cardiaco, ha fatto del suo meglio finché Luisa è stata soccorsa anche da un carabiniere che si è precipitato sul posto.
Purtroppo gli aiuti non hanno avuto esito alcuno. Con l’elicottero del Suem è stata ricoverata in ospedale: ore e giorni di agonia. E poi la morte è sopraggiunta a liberarla dalle sue sofferenze.

Il titolare della ditta ora è indagato per omicidio colposo. 
Luisa aggiunge di una unità i 772 decessi denunciati dall’Inail dal primo gennaio di quest’anno.
Un dato davvero allarmante che narra la storia di una mancata prevenzione e delle misure di sicurezza che dovrebbero obbligatoriamente consentire a un lavoratore o una lavoratrice di poter lavorare senza rischiare di morire.

Il presidente Mario Draghi ha annunciato pene più severe e immediate e collaborazione all’interno dell’azienda per individuare precocemente le debolezze in tema di sicurezza lavoro.
La strage in ogni caso è quotidiana e non accennano a diminuire i segnali di allarme.

Grandi titoli, sempre accompagnati alla definizione Morti bianche, riportano gli incidenti, le morti sul lavoro.
“I caduti del lavoro sono le persone decedute a causa di incidenti successi durante e per causa del lavoro svolto […]”. Il fenomeno è anche indicato come morti bianche, dove «l’uso dell’aggettivo ‘bianco’ allude all’assenza di una mano direttamente responsabile dell’incidente”, ci dice il vocabolario. L’enunciato sembra dire che non esiste un responsabile, un colpevole della morte sul lavoro, che spesso è di colore nero, mentre s’insiste sul bianco.

Qualche dato può orientarci nella scelta del colore che meglio si abbina a chi ne esce morto.
Alcuni esempi:
Il 6 maggio nella bergamasca un operaio 46enne è morto schiacciato da una lastra in cemento armato.
Il giorno prima, il 5 maggio un operaio meccanico di 49 anni si è ferito lavorando a un tornio in un’azienda di Busto Arsizio, in provincia di Varese.
È morto poche ore dopo.
È rimasto schiacciato tra gli ingranaggi, proprio mentre l’aula del Senato osservava un minuto di silenzio per ricordare Luana D’Orazio, l’operaia tessile di 22 anni che sei giorni fa è rimasta schiacciata in un macchinario nell’azienda di Prato dove lavorava, lasciando la sua famiglia e il suo bambino di 5 anni.
La lista potrebbe proseguire, per ora ci fermiamo sulla storia di Luisa.

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