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Lucrezia Dal Toso: il mercato del pesce di Rialto

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Chiudi gli occhi.
Stai camminando. Lo scalpiccìo delle scarpe sul pavimento invade le
tue orecchie. Il ciac ciac delle suole continua, incontrando talvolta
qualche piccola pozza d’acqua che ride gorgheggiando al tuo
passaggio. Anche qualche granello gelato partecipa al piccolo concerto
sotto i tuoi passi.
Percepisci sulle mani delle lame di luce, strisce di calore filtrate da
grandi tendoni. Pian piano, un brusìo di voci confuse si fa strada nello
spazio. Il profumo salino, grezzo e leggermente pungente, solletica le
tue narici, mentre un cantilenante scroscio di onde si infrange sui
timpani.

Apri gli occhi.
La luce acceca il tuo sguardo per un istante. Sei sotto un arco
sostenuto da massicce colonne in pietra bianca, le venature scure
segno degli anni passati. La struttura è protetta da tende oscuranti che
scendono fino a coprire gli archi per evitare ai violenti raggi del sole di
penetrare nell’ombra.
Fai un passo avanti.
Senti l’umidità insinuarsi nella tua scarpa: sei finito in una pozzanghera
d’acqua di mare, di certo la regina di questo luogo. Le acque marine,
infatti, si trovano ovunque: nell’odore salino che ti pizzica il naso, nel
rumore di schiaffi delle scarpe nelle pozze d’acqua, nelle gocce
beffarde che si infilano nei piedi degli sfortunati.

Una calca di persone si annida in diversi punti. Si intrufola nella tua
mente la curiosità di cosa possa essere tanto attraente agli occhi di
tutte queste persone. Ti avvicini, facendoti spazio tra i gomiti
ammassati. Il rumore della plastica accartocciata tra le dita attira la tua
attenzione: ogni mano stringe almeno un grosso sacchetto.
Arrivi davanti, in prima fila, spinto qua e là dalla folla e arpionato talvolta
dalle braccia che si stendono per indicare la merce sui banconi.
Appoggi di getto le mani sul bordo del bancone. Ti accorgi che la punta
delle dita sta affondando in una distesa ghiacciata. Squish.
Qualcosa di viscido raggiunge il tuo indice, facendoti ritrarre di scatto la
mano. Una grande foglia verde e umida svolazza fino a terra. L’odore di
sale ora è arricchito da un profumo verde, di alghe, di flora marina. È
una sensazione sgradevolmente piacevole, un odore particolare.
Balsamico, salino, ricco di un’aromaticità vegetale, accompagnato da
una quasi bagnata sensazione sulle tue labbra.

Abbassi lo sguardo, cercando il viscido assalitore delle tue dita. Un
tripudio di colori si staglia sotto ai tuoi occhi, abbracciato dalla sapidità
dell’aria e dall’odore molle del pesce fresco. Una luce calda color tuorlo
illumina il pescato, adagiato su un letto di ghiaccio frantumato e
circondato da reti sottili. Un blocco morbido e striato di uno squillante
color albicocca trionfa dinnanzi ai tuoi occhi. Ma non è solo: il tonno
tagliato in tranci risuona sul ghiaccio candido con il suo rosso purpureo,
i pesci spada sorvegliano le mani furbe della gente e poi le orate e i
branzini, scintillanti come zirconi grezzi, i rombi chiodati dalla pelle
chiazzata, le piccole acciughe, un pesce San Pietro e due grossi
scorfani, le fattezze tanto peculiari da sembrare pesci abissali, la rana
pescatrice, dalla bocca dentata spalancata pronta al morso, i
gamberoni scarlatti, gli scampi dalle chele rosate, e ancora saraghi,
sgombri e astici luccicanti. Fogli bianchi e macchiati decorati da
svolazzanti scritte fatte a mano indicano il nome della creatura che
affiancano.

“Do eti de canocie” dice il signore al tuo fianco, mentre un grosso
cartoccio viene subito preparato per lui. I guanti di lattice dell’uomo al
di là del bancone stridono mentre afferrano il pescato con gesto sicuro,
ponendolo sulla bilancia. Bip tip bip: il pesce è pesato. Il signore prende
soddisfatto il suo pacchetto e si volta per tornare lentamente a casa.
Avvicini il viso al banco, curioso della sua scelta. Crostacei lunghi e
stretti muovono ancora debolmente le proprie chele, tentando forse di
raggiungere le acque marine. Due chiazze vinaccia adornano le loro
code appuntite. Sembra un crostaceo primordiale, con quella sua
corazza color crema.
“E ti?” dice l’uomo al banco, rivolgendoti la sua attenzione. “Ti cosa te
voi?”
“Dall’inizio del secolo si è costruito un solo monumento veramente
nuovo, un monumento che non ha l’eguale e questo monumento è il
complesso dei mercati centrali. […] Ecco perché Saint-Eustache è
messo al bando! Saint-Eustache se ne sta là, col suo rosone, nessuno
ci entra, mentre i mercati si allargano con tutto il loro fermento di vita da
ogni parte. Questo, mio caro, io lo vedo chiaro, chiarissimo!…”

– Il ventre di Parigi, Émile Zola (1873)

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