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Il sapore della vendetta, Abercrombie questa volta non affila la spada

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Basta guardare il titolo originale del libro di Joe Abercrombie “Best Served Cold’ unito al titolo italiano “Il sapore della Vendetta” (traduzione Edoardo Rialti), edito da Gargoyle, per capire fin da subito di che cosa tratta il romanzo di quello che può essere considerato il nuovo George R.R. Martin.

La vendetta che va servita piano, fredda, attraverso le quasi 800 pagine di romanzo è quella di Monzcarro Murcatto, detta Monza, mercenaria dai capelli color della notte e spietata. Al culmine della sua carriera la donna, assieme al fratello Benna, inizia ad essere percepita come una minaccia dal duca Orso, per il quale lavorano. Monza riesce a sopravvivere alla congiura che però vede Benna perire sotto i colpi dei 6 congiurati.

La donna, non potrà fare altro che mettere insieme un gruppo di persone, lontanissime dall’idea degli eroi, per uccidere, uno a uno, le persone che hanno tentanto di toglierle la vita e hanno assassinato il suo amato fratello.

Per 800 pagine così poche righe di trama sembrano impossibili, invece è così. Purtroppo, infatti, ‘Il sapore della vendetta’ ha il suo primo anello debole in una struttura narrativa che sa di già letto, visto e rivisto. Questo anche perché Abercrombie ci aveva sempre abituato ad essere uno scrittore che ribalta i cliché, invece qui si appoggia alle classiche struttura di qualsiasi romanzo di vendetta, compresi tutti i tradimenti che si susseguono nella vicenda.

Non ci sono i tanto agognati momenti in cui si dovrebbe sobbalzare, strabuzzare gli occhi, qui è tutto come ci si aspetta: torto – vendetta – fine.

Quando una trama finisce per essere così lineare, soprattutto in un romanzo di ambientazione storica (anche se fantasy), si rischia, come in questo caso, di affaticare il lettore in un romanzo noioso dove, dopo le prime uccisioni, se ne ha già abbastanza. Ma si continua, si continua perché si spera in un plot twist che non avviene mai.

Joe Abercrombie punta molto della sua narrazione su toni cupi, tristi, che non aiutano il proseguimento della lettura, dove nemmeno i personaggi finiscono per entrarci nel sangue o nelle nostre grazie. Troppo stereotipati? Troppo miserevoli e autocommiserevoli? Forse, ma quello che manca è una vera, solida, caratterizzazione dei personaggi, in special modo della protagonista, Monza.

Ella, infatti, non è costruita in modo da poter reggere sulle sue spalle la mole di questo romanzo, non riuscendo ad empatizzare con lei e il suo dolore.

Se la vendetta è un piatto che viene servito freddo, non per questo il romanzo deve essere uguale.

Sara Prian

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