Una nuova imposta nella Legge di Bilancio, ma questa volta per i giganti dell’economia digitale, come Apple, Google, Ebay, Amazon, Facebook, Uber e AirBnB.
Le multinazionali della Rete fanno enormi profitti in Italia senza però pagare le imposte come le nostre aziende, semplicemente perché i loro utili sono contabilizzati nei Paesi a fiscalità privilegiata, come Irlanda e Paesi Bassi.
Con questa premessa parte oggi la campagna “Digital Tax anche in Italia!”, con una petizione online www.progressi.org/digit rivolta al Presidente del Consiglio e al Ministro di Economia e Finanza. La richiesta è semplice: inserire un’imposta sui profitti di queste imprese nella Legge di Bilancio e applicarla a partire dal 1° gennaio 2017.
La campagna nasce da Progressi.org insieme al Tax Justice Network e alle associazioni Adoc, Confconsumatori, Movimento Consumatori, Associazione Consumatori Serenissima.
Secondo le stime degli economisti, con un’aliquota del 20% una simile imposta porterebbe nelle casse dello Stato italiano circa 3 miliardi di euro. Con queste nuove entrate si potrebbero ricostruire le zone colpite dal terremoto, ad esempio, o migliorare i servizi pubblici, abbassare la pressione fiscale e aumentare le pensioni più basse.
Finora né l’Unione Europea né l’OCSE hanno trovato una soluzione per fermare questo tipo di elusione fiscale. Altri Paesi come Regno Unito, Australia e India, invece, si sono già attivati introducendo forme diverse di Digital Tax.
Il governo Renzi, dopo tante promesse, è rimasto in silenzio su questo tema. Eppure ci sono state diverse proposte di legge negli ultimi anni: il ddl 1662 di Francesco Boccia e il ddl 3076 di Stefano Quintarelli.
“Con la pressione fiscale che c’è nel nostro Paese, è inaccettabile che le multinazionali digitali straniere facciano affari per milioni di euro senza però pagare le stesse imposte delle piccole imprese italiane, dei lavoratori autonomi e dipendenti”, dice Vittorio Longhi, presidente di Progressi. “Nel contesto economico globale non ci dobbiamo rassegnare a essere consumatori passivi, almeno pretendiamo equità”.
“Non possiamo che condividere questa petizione – dichiara Laura Ferraioli, presidente di Associazione Consumatori Serenissima – tanto più che l’Articolo 53 della nostra Costituzione recita ‘tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità
contributiva’.”
17/11/2016