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WOLVERINE – L’IMMORTALE | NEL FILONE X-MEN L'OPERA MIGLIORE QUANDO ORIENTE ED OCCIDENTE SI INCONTRANO

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Approfondendo le circostanze del primo capitolo e riprendendo le tematiche sulla diversità  della saga degli X-Men, “Wolverine – L'immortale” è il miglior titolo della franchising, nella sua capacità  di creare un ponte tra oriente e occidente, attraverso l'unione di più generi e culture differenti.
NOTIZIE CINEMA | Logan (Hugh Jackman) dopo anni di isolamento si ritrova in Giappone per salutare un vecchio amico ormai in fin di vita. Qui incontra la nipote, Mariko Yashida (Tao Okamoto), che dovrà  difendere dai ninja, da Viper, una mutante, e dal padre della ragazza, pronti a tutto pur di avere l'eredità  che nonno Yashida le ha lasciato.
Fondendo i generi tipicamente orientali dello Yakuza (film sulla mafia giapponese) e la cultura dei ninja e dei samurai con l'action movietargato Marvel, Il Wolverine di James Mangold è essenzialmente una storia di rinascita di una nazione (il Giappone e Nagasaki dopo la Seconda Guerra Mondiale) e di uomo.

Più che nelle altre pellicole, Logan dovrà  scontrarsi con il suo essere mutante e la reale via d'uscita che Yashida gli offre nel diventare completamente un essere umano in grado d'invecchiare e di amare. Wolverine era un uomo perduto, confinato in qualche caverna in montagna, prima che Yukio, la giovane allieva samurai, lo portasse a Tokyo. Ed è proprio nella capitale del Sol Levante che il mutante comprenderà  il suo ruolo nel mondo, l'incapacità  di sfuggire ad un destino che lo vuole eroe (anzi soldato), ma che può lasciare lo spazio anche ai sentimenti.
Ed è una presa di coscienza graduale quello che tocca a Logan che, superando lentamente il senso di colpa e il lutto per la morte della sua amata Jean, riesce ad amare di nuovo, risentendo il bisogno di proteggere un altro essere umano. Ma è anche una presa di coscienza del proprio potere e di come, senza, non sarebbe la stessa persona.

Le ambientazioni orientali conferiscono al film uno spessore in più e Mangold è bravo a far confluire nella sua pellicola i tratti unici del cinema classico giapponese, senza dimenticare quello che il pubblico dei giovanissimi vuole vedere, l'azione anche se più lenta rispetto ai capitoli precedenti, proprio come vuole la tradizione giapponese. A questo ci aggiunge ottimi dialoghi, una sceneggiatura scorrevole e la fine del percorso, iniziato con il primo degli X-Men, sull'accettazione di se stessi.

“Wolverine – L'immortale” si candida così ad essere un film profondamente diverso dal filone, con ritmi e tempi tipici di una cultura lontana da quella occidentale e questo, che per molti potrebbe essere un grande difetto, per altri si trasforma in un pregio, trovandosi finalmente di fronte ad un'opera quasi con la O maiuscola, lontana dal mainstream made in USA.

Sara Prian
[redazione@lavocedivenezia.it]

Riproduzione Vietata
[28/07/2013]


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