Bisogna tornare indietro con la memoria per ripercorrere i fatti. In una tranquilla notte di maggio del 1997 noi veneziani (e il resto d'Italia) ci svegliammo con le inquietanti notizie che arrivavano parlando di una banda armata che si era asserragliata nel campanile di San Marco. Per compiere questa azione terroristica il gruppo era sbarcato con due carri armati in Piazza San Marco dirottando un ferry-boat Actv. Non era proprio così.
Come in tante occasioni emerso successivamente, non era un'azione “di forza” bensì un'azione rappresentativa. Tant'è vero che ora la Corte di Cassazione riconosce – con sentenza definitiva – che le “armi” in possesso del gruppo non sarebbero state idonee a quello scopo.
I “tank” altro non erano che trattori di campagna rinforzati. I “soldati” armati da guerriglia altro non erano che otto persone comuni, gente che lavora, che aveva “conquistato il Campanile” per stendere la bandiera del leone alato come gesto dimostrativo che reclamava un “Veneto libero”, protestando contro la consegna di Venezia alle truppe napoleoniche. Atto illecito e militare da cui la Repubblica Serenissima non si è più ripresa cominciando il suo declino. In conseguenza, sarebbe stata da annullare l'annessione del Veneto all'Italia del 1866.
I “Serenissimi” furono arrestati con un blitz delle forze dell'ordine senza colpo ferire. Accusati di terrorismo e banda armata furono condannati a vari anni di detenzione. Giuseppe Segato, che non aveva partecipato all'azione ma ne era stato considerato l'ideologo, si ammalò in carcere e fu condotto all'ospedale ammanettato, in lettiga.
Varie personalità istituzionali negli anni, tra cui Massimo Cacciari (sindaco di Venezia che si costituì parte civile all'epoca) hanno domandato per loro la grazia che non fu mai concessa.
Ora è consolidato che gli autori dell'assalto al campanile di San Marco il 9 maggio 1997 non erano terroristi. La Corte di Cassazione certifica che gli strumenti usati non erano offensivi depositando i motivi della sentenza definitiva.
[06 luglio 2011]
Paolo Pradolin
(foto: fonte internet)