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Renzi parla al Senato, ma le sue parole sono per la gente

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Renzi parla davanti al Senato, ma soprattutto al Paese, il suo discorso è per la gente davanti ai televisori.
«Signor Presidente del Senato, gentili senatrici, onorevoli senatori, ci avviciniamo a voi in punta di piedi, con il rispetto profondo…» ma dopo i primi due minuti di polverosi salamelecchi arrivano i fatti, con un linguaggio chiaro e deciso «siamo un Paese arrugginito, impantanato, incatenato da una burocrazia asfissiante, da regole, norme e codicilli che paradossalmente non eliminano l’illegalità».

«Quello che stiamo vivendo è un momento in cui o si ha il coraggio di operare delle scelte radicali e decisive, oppure non perderemo soltanto la relazione tra di noi, ma anche il rapporto con chi da casa continua a pensare che la politica sia una cosa seria, che la politica sia ciò che di più grande ha un Paese…».

Qualcuno rimprovera a Renzi una mancanza di rispetto per l’ “istituzionalità”: «che modi sono, quelli di tenere la mano in tasca?». Come i leghisti che chiedono cosa siano mai questi toni così spicci e informali. Risponderà irridente: «Mi rimproverate di usare qui un registro diverso? Forse perché voi siete sempre più lontani da come parlano le persone fuori da qui».

Mentre il neo premier srotola i punti del suo programma altri criticano il discorso, Giuliano Ferrara twitta sbuffando: «Un discorso da consiglio comunale di Campi Bisenzio!».
Ma Renzi continua : «dal 2008 al 2013, mentre qualcuno si divertiva, il Pil ha perso 9 punti percentuali. La disoccupazione giovanile è passata dal 21,3 al 41,6 per cento. La disoccupazione è passata dal 6,7 per cento al 12,6 per cento. Non sono i numeri di una crisi: sono i numeri di un tracollo…». Spiega che «la crisi ha il volto di donne e di uomini, e non di slides».

Promette un piano del lavoro. Invoca «un Paese vivo, ricco, aperto e curioso» che «non ha paura di attrarre investimenti». Lamenta l’indifferenza davanti a certe classifiche: «Siamo al 126° posto nel «Doing business index»… Accusa il «retropensiero» di tanti burocrati: «i governi passano, i dirigenti restano…».

Applausi, ma non tantissimi. Quelli più importanti arriveranno davanti ai risultati.

Redazione

[25/02/2014]

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