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Noah, benvenuti nell’era in cui la Bibbia si fa blockbuster

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Noah Darren Aronofsky

Darren Aronofsky ci ha sempre abituato a pellicole impegnate, costruite attorno ad un unico personaggio sul quale psicosi, paure, visioni e dipendenze si fondevano con una regia ricercata, a volte di difficile comprensione.

Noah parte da questo presupposto, costruendo sul personaggio biblico, però, un blockbuster, una pellicola per il grande pubblico, che farà storcere il naso ai fans del regista e ai cinefili più incalliti, ma che piacerà sicuramente alla massa, come già dimostrano i grandi incassi oltreoceano.

La storia è quella che tutti conosciamo di Noè che, dopo aver ricevuto da Dio il compito di costruire un arca, imbarca tutte le coppie degli animali, portando con sè tutta la sua famiglia (qui più allargata di quella che ricordiamo).

L’ultima fatica di Aronofsky è una pellicola lontana dalla perfezione tanto quanto si trova a chilometri di distanza dai grandi film con cui ci aveva deliziato negli ultimi anni. Il talento del regista, infatti, sembra frenato, il suo agnosticismo, percepibile per quasi tutta la durata del film, non sembra funzionale e si intravede qualche barlume della mano di Aronofsky nelle scene, poche, oniriche.

Di buono c’è l’approccio con cui il regista affronta la personalità di Noè, un bravissimo Russell Crowe, coadiuvato da un cast dove spiccano Jennifer Connelly e Emma Watson, diviso tra un dualismo che lo logora e che lo porta ad un livello più umano, a cui è più facile per lo spettatore rapportarsi.

La tematica del doppio, sempre molto cara ad Aronofsky, la ritroviamo anche in questa opera con una differenza. La messa in scena, infatti, volta verso l’intrattenimento di massa, inficia questo aspetto, finendo per essere poco incisivo.

Il problema della pellicola è proprio la mancata incisività, da sempre punto di forza del grande cinema del cineasta. La sua mano, come detto, sembra frenata nel raccontare una storia conosciuta, nel darci quel qualcosa in più, senza la paura di fare torto a quella comunità, piuttosto che ad un’altra.

Nella seconda parte il regista ci prova, ci dà una visione particolare, a tratti interessante, ma la cosmologia già tentata con il complicatissimo (e sottovalutato) ‘The Fountain – L’ Albero della vita’, finisce per risultare troppo superficiale ed agnostica, mettendosi al livello di quel cinema di massa che ha come suoi principali fruitori chi non vuole impegnare la testa.

Anche le musiche di Clint Mansell, da sempre elemento portante dei film di Aronofsky, qua finiscono in terzo piano e nessuna rimane davvero a far da cornice alla messa in scena, come è invece sempre accaduto in precedenza.

Noah è un blockbuster che piacerà al grande pubblico, dove i primi piani soffocanti, insistiti, con la telecamera che non molla mai i suoi protagonisti, lasciano il posto a dei campi lunghissimi, che ci fanno apprezzare gli effetti speciali, ma che ci fanno pensare quanto, con un talento in cabina del regia del genere, si sarebbe potuto fare meglio.

[09/04/2014]

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