«Il boia Napolitano vuole cucire la bocca alle opposizioni e tagliarci quasi la testa». Quando Girgis «Giorgio» Sorial, deputato bresciano di genitori copti egiziani, pronuncia queste parole in conferenza stampa leggendo un documento dei 5 Stelle, alla Camera, i cronisti sobbalzano.
Passano pochi minuti e scoppia il finimondo. Accuse e indignazioni contro il Movimento 5 Stelle. A difesa del Quirinale intervengono Enrico Letta e Matteo Renzi e la Procura valuta se aprire un’inchiesta per vilipendio. Dal Quirinale arriva solo un silenzio gelido.
I 5 Stelle contestano «gravi violazioni» nella legge di Stabilità e «decreti licenziati senza copertura». Un anticipo di quella messa in stato d’accusa già annunciata e alla quale stanno lavorando all’interno del gruppo di Beppe Grillo. E la lettera al Quirinale non è un passo indietro sull’impeachment, assicurano i 5 Stelle: «Arriverà presto e non ci sarà bisogno di metterla ai voti in rete, siamo tutti d’accordo».
‘Napolitano Boia’ è l’insulto più pesante rivolto al Colle nella seconda Repubblica. La lettera finisce agli uffici giuridici del Colle, anche se da un primo esame viene giudicata più come una forma di pressione pretestuosa e intimidatoria che come un rilievo concreto. Tra i partiti lo sdegno è collettivo. Persino la Lega ne ha preso le distanze.
Mentre il deputato M5S legge i deputati democratici escono dall’Aula. «Protesta civile contro parole indegne», dice Dario Nardella. Ma i 5 Stelle tengono il punto. Per la Bulgarelli, Napolitano è «garante della maggioranza, non degli italiani». Santangelo lamenta il progressivo «esautoramento delle Camere» e contesta lo schiacciamento dell’opposizione.
Sorial non si pente: «Pentirsi? Ma siete matti? Lo direi ancora. Non è un insulto e non chiedo scusa. E comunque ho avuto solo feedback positivi».