Massimo Moratti, presidente dell' Inter, ha espresso: «giudizi lesivi della reputazione ed in particolare della buona fede e della imparzialità degli ufficiali di gara e conseguentemente, della regolarità del campionato a causa dell'operato degli arbitri, così ledendo la reputazione degli organismi operanti nella Figc, nonché il prestigio e la credibilità della medesima istituzione». Una pappardella che sta ad indicare come Moratti meritasse un deferimento agli organi disciplinari per i giudizi rilasciati al termine di Inter – Atalanta, persa dall' Inter per 3-4 dopo che si era trovata in vantaggio 3-1. Per quelle parole va sotto giudizio anche la società Inter, deferita per responsabilità diretta.
Il presidente dell'Inter, domenica sera e lunedì pomeriggio, era stato molto chiaro con il suo j'accuse: «Non credo alla buona fede; nel dubbio ci fischiano contro», aveva detto, e Moratti sapeva anche che pronunciando quelle parole sarebbe arrivata la sanzione, come ha confermato ieri: «Il deferimento è ovvio e conseguente».
Marcello Nicchi, presidente degli arbitri, aveva commentato: «Gli arbitri sono atleti, che sbagliano come tutti. Da spettatore mi sto facendo due domande: come abbia fatto l'arbitro a fare quell'errore e come abbia fatto Ranocchia a sbagliare quel gol. In campo ci sono stati due atleti, uno che fa l'arbitro e l'altro che fa il calciatore. Hanno sbagliato, siamo 1-1».
Ma è corretto, ci si chiede, giustificarsi perchè 'così fan tutti'? Paragonare il calciatore ad un professionista super partes? Che per definizione garantisce la regolarità dell'evento ed è aiutato da cinque collaboratori per questo? Che garantisce un servizio per il quale è preparato e retribuito? Che dovrebbe distribuire gli errori in maniera casuale come a volte non sembra?
Roberto Dal Maschio
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[13/04/2013]