Associazione a delinquere di stampo mafioso, intestazione fittizia di beni e concorso esterno in associazione mafiosa. Questi i reati a vario titolo che la Direzione Distrettuale Antimafia di Catania della Procura di Catania contesta alle cinque persone arrestate all’alba di mercoledì dai carabinieri tra cui l’amministratore delegato dell’azienda che ha realizzato le cerniere del Mose, la Fip di Padova, il mestrino Mauro Scaramuzza, e Gioacchino Francesco La Rocca, figlio del capomafia detenuto «Ciccio», indagati, assieme ad altre tre persone, tra cui l’ingegnere padovano Achille Soffiato, nell’ambito di un’inchiesta su un appalto pubblico da 140 milioni di euro per la realizzazione della «variante» Caltagirone.
Secondo l’accusa, la Fip, attraverso Soffiato e Scaramuzza, avrebbe affidato lavori in subappalto a società che, ritengono la Procura di Caltagirone e la Dda di Catania, fossero controllate dalla famiglia La Rocca. I carabinieri stimano che su circa 36milioni di euro in subappalto, un milione sono arrivati a una ditta, la «To Revive», che è stata sequestrata assieme alla Edilbeta costruzioni, gestita dal figlio del boss.
Il meccanismo, ritengono i militari dell’Arma, coinvolgeva anche tre dipendenti dell’Anas, per i quali le Procure di Caltagirone e Catania avevano chiesto un provvedimento cautelare, ma che il Gip non ha concesso perché ha riconosciuto l’ipotesi di abuso d’ufficio, ma non l’aggravante dell’avere favorito l’associazione mafiosa. Negati anche ordinanze per un dipendente Fip e un presunto affiliato al clan. Nell’inchiesta, aperta a giugno del 2011, ci sono altri indagati in stato di libertà.
Redazione
[09/10/2013]
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