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‘L’Alibi della Vittima’: rimanere incollati alle pagine. Nostra intervista a Giovanna Repetto

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Libro Giovanna Repetto l'alibi della vittima

‘L’Alibi della Vittima’, ovvero: il nuovo romanzo di Giovanna Repetto.
Spiazzante, intricato, coinvolgente ed avvolgente, così può essere definito il nuovo lavoro della psicologa e scrittrice, Giovanna Repetto. L’opera, edita da Gargoyle Editore, esplora il mondo della tossicodipendenza e del disagio sociale, ma lo fa in chiave noir, dando vita ad un libro carico di suspense, ritmo e un alone di mistero, che affascinerà il lettore sin dalle prime pagine.

Le vicende si svolgono tra Rocca Persa, un piccolo centro collinare dei Castelli Romani e la capitale. Il paesino è la meta scelta da Memè, un personaggio particolare, facente parte di un redditizio commercio clandestino di cocaina e al centro di un’indagine condotta dal maresciallo Trevisan. Chi sia veramente però, rimane un mistero fino alla fine.

Numerosi sono i personaggi che popolano l’avvincente romanzo e che compongono il suggestivo, apparentemente ‘’normale’’ e pericoloso microcosmo di periferia. Greta, amante di Memè, interessatissima a prendere il suo posto nel traffico illegale; il brigadiere Di Stasio, che adotta metodi poco ortodossi per interrogare i sospettati; Alisia, 25enne amica di Greta, ragazza allo sbando.

Così come Marco, un tossicodipendente che si rivolge alla psicologa del SerT Lina, spinto dalla madre ad entrare in una comunità di recupero; Gaetano, un pregiudicato in libertà vigilata ex cocainomane e Maria (detta “Holy Mary”), un’appassionata assistente sociale. Su tutti si staglia l’ombra del sospetto, ognuno però ha un alibi ed un movente.

‘’L’abito non fa il monaco’’, questa la morale nascosta tra le righe del romanzo, alcuni dei personaggi infatti, si rivelano in pubblico per ciò che non sono veramente, nascondono invece la realtà delle cose e continuano a percorre la strada della trasgressività e dell’illegalità, di per sé cupa, misteriosa e celante.

False amicizie, tradimenti, segreti rimasti nascosti, ma anche sentimenti veri, solidarietà e speranza. Lato oscuro e puro quindi, che in ‘’L’alibi della vittima’’ assieme trovano posto, in un’opera dal sapore quasi americano, che grazie a capitoli brevi, mancanza di cronologia e personaggi con diverse personalità e storie di vita, concorrono a creare un’opera affascinante, che attrae e trasporta il lettore in un climax letterario di alto livello.

Esperienze di vita vissuta, il conoscere bene l’ambiente sociale che fa da sfondo alle vicende e la professionalità della Repetto, hanno fatto sì che ‘’ L’alibi della vittima’’, sia un romanzo da leggere tutto d’un fiato, capace di creare enigmi, interessare il lettore ed appassionarlo.

In occasione dell’uscita del libro, abbiamo potuto intervistare la scrittrice, la quale ci ha svelato qualcosa in più sul romanzo e su com’è nata l’idea.

Quanto ha influito la sua carriera e l’esperienza nel SerT, per descrivere le vicende e caratterizzare i personaggi del romanzo?
Senza l’esperienza del Ser.T L’alibi della vittima non sarebbe nato. Uno degli elementi che mi hanno determinata a scriverlo è stato proprio il desiderio di raccontare un certo tipo di situazioni con cui sono stata a contatto per una trentina d’anni. I protagonisti del romanzo sono personaggi di fantasia, ma appartengono a tipologie reali. E anche le loro storie sono state costruite attraverso un distillato, per così dire, di tante altre storie simili.

Nel romanzo alcuni dei personaggi dimostrano di avere una doppia identità o non essere veramente ciò che dimostrano. Perché ha voluto insistere molto su questo aspetto?
Nel mio lavoro ho incontrato molta ipocrisia e molti luoghi comuni. C’è chi si presenta come detentore della verità, e chi è ben contento di delegare le proprie responsabilità in cambio di presunte soluzioni magiche. Due atteggiamenti complementari che aggravano i problemi anziché risolverli.

L’idea di mostrare un uomo di legge così violento come il brigadiere Di Stasio e in contrapposizione, un ex delinquente come Gaetano, che vuol solamente uscire di galera e dedicarsi alla famiglia e alla terra, è un chiaro messaggio che vuol sottolineare il detto ‘’l’abito non fa il monaco’’?
Più che altro ha influito la constatazione che molte caratteristiche umane, siano esse pregi o difetti, sono distribuite in modo trasversale, indipendentemente dalle idee professate o dagli schieramenti a cui si appartiene.

Alisia, Marco Andreina, Stefano, sembrano tutti cercare e volere amore nelle loro vita? È così?
Tutti cercano amore, ma non tutti sono attrezzati allo stesso modo per trovarlo. Alisia per esempio è cresciuta ricevendo così poco amore che quasi non sa di che si tratti, non riesce nemmeno ad amare sufficientemente se stessa. All’opposto Anna, che ha avuto l’esperienza di essere amata, non si rassegna a un cambiamento.

Come e perché ha deciso di trattare temi così importanti come la tossicodipendenza e del disagio sociale affidandosi al genere noir?
Il genere è conseguenza diretta dell’ambientazione sociale: parlare di tossicodipendenza significa parlare di spaccio e di piccolo spaccio, di criminalità e di microcriminalità, di degrado sociale e di realtà carceraria. Di guardie corrotte e di infami che fanno la spia. Non ho inventato niente, anche se non mi riferisco a nessun caso in particolare. Ma nella genesi del romanzo ha influito anche il gusto del gioco enigmistico, la voglia di creare un congegno a incastro con cui sfido il lettore.

Crede che il libro possa avere le potenzialità per essere trasposto in un film tv o per il cinema? Le piacerebbe?
Mi piacerebbe molto. Penso che questo libro che esce con Gargoyle, più dei miei romanzi precedenti, si presti particolarmente a essere tradotto in linguaggio cinematografico. L’alternarsi di scene brevi e intense, i dialoghi serrati, lo rendono già simile a una sceneggiatura. E’ cinematografico perfino il metodo con cui l’ho scritto, costruendo gli episodi separatamente e non sempre in sequenza cronologica, e facendo il montaggio solo alla fine.

Alice Bianco

[10/03/2014]

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