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La legge di stabilità punisce ancora una volta il Veneto senza logica alcuna

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roberto ciambetti regione veneto

Tra le pieghe della Legge di stabilità presentata dal governo Letta emerge un accanimento incomprensibile verso il Veneto: in una Regione che vanta un residuo fiscale di ben 21 miliardi, con i cittadini che mediamente versano tutti allo stato circa 4 mila e 200 euro in più all’anno di quanto non ricevano, lo stato impone un tetto alla spesa pubblica degli enti locali di 312,14 € pro-capite, la cifra più bassa assieme a quella della Lombardia (311,93 €) imposta dal governo al decentramento.

Non parliamo di soldi che attendiamo da Roma o di introiti aggiuntivi: parliamo di soldi che i cittadini ci hanno già dato e che, nel caso del Veneto, giacciono nelle casse pubbliche, accentrate a Roma, inutilizzati e inutilizzabili. Non parliamo dunque neanche di risorse frutto di indebitamento, che andrebbero a peggiorare il dato complessivo del sistema Paese, ma di fondi bloccati: non occorre scomodare Keynes, ma semplicemente applicare il buon senso, virtù rara. Il Veneto potrebbe mettere in campo centiniaia di milioni oggi fermi e non a causa di direttive europee. Chi dice che il Patto, come viene applicato in Italia, è stato imposto da Bruxelles dice una cosa sbagliata. Si tratta di una scelta italiana, con parametri decisi dall’Italia.

Il tetto 2014 è stato posto dal Governo con le norme della legge di Stabilità e ciò significa che il governo dapprima, ma anche il Parlamento che quella legge dovrà approvare, si assumono la responsabilità di una scelta scandalosa, visto che il cittadino veneto si vede riconosciuto una capacità di spesa inferiore del 18.84 per cento rispetto al cittadino medio nazionale, mentre siamo ben lontani dal tetto previsto per i lucani, 933.23 € pro-capite, i molisani, 833.48 €, o gli Umbri, 620.46 €.

Rammento che in Veneto la spesa pubblica complessiva al lordo degli interessi sul debito è la più bassa in assoluto in Italia, con 7.934 € pro-capite contro una media nazionale di 9.357 € per cittadino: insomma non solo siamo la Regione dove la spesa pubblica è la più bassa, inferiore del 15.21 % rispetto alla media nazionale, ma anche quella in cui lo stato impone agli enti locali il tetto più basso di spesa. Bechi e bastonà.

Da sole queste cifre mandano a gambe all’aria il principio dell’uguaglianza che, sancito dall’art.3 della Costituzione Italiana, vieta ingiustificate disparità di trattamento tra cittadini. In teoria al cittadino italiano, veneto compreso, viene garantita dalla Costituzione l’eguaglianza non solo formale ma anche sostanziale e c’è un evidente contrasto tra questa previsione e l’enormità del pochissimo che viene permesso all’ente pubblico in Veneto rispetto alla media Italiana.

Non siamo gli unici a vivere questa contraddizione. Il Tetto punisce in maniera incomprensibile anche realtà che stanno affrontando un lungo processo di risanamento, come nel caso della Puglia per la quale il governo propone un obiettivo di 322.22 € pro-capite, anche qui lontanissimi dalla media nazionale: il presidente Vendola ha tutte le ragioni per protestare. Si scrive Patto di stabilità, si legge Patto di Iniquità.

L’estate scorsa, in sede di Conferenza delle Regioni, tentai di bloccare una ripartizione ingiusta e punitiva del Patto; ho segnalato alla più alte cariche dello stato l’iniquità della situazione e la pericolosità nell’imporre vincoli di spesa che non hanno giustificazione.

Insomma, non da oggi, come Veneto, ci stiamo battendo per rivedere questa assurdità; forse è il caso che i nostri parlamentari, eletti per rappresentare gli interessi dei cittadini, analizzando i vari articoli della legge di Stabilità, smettendo le magliette della corrente di appartenenza nelle rispettive forze politiche, facciano per una volta un gioco di squadra indossando la maglia del Veneto.

Ciascuno faccia la sua parte.

Roberto Ciambetti
Assessore al Bilancio e agli Enti Locali
Regione del Veneto

[27/10/2013]

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