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La Biennale taglia il nastro di arrivo. Ma lo “zibaldone ordinato” dell’Architettura internazionale, resta negli annali.

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Un’esposizione eterogenea, policroma, tra materiale e teorico, progetto e prototipo, quella conclusasi il 21 novembre: la 12° Mostra Internazionale di Architettura 2010, organizzata dalla Biennale di Venezia, che ha sorpreso e stupito i suoi visitatori presso i Giardini e l’Arsenale di Venezia.

“People meet in Architecture” era il titolo di questa grandiosa manifestazione, affidata quest’anno all’arch. Kazuyo Sejima, prima donna nella storia chiamata a dirigere la biennale che, per volontà  di quest’ultima, ha privilegiato i luoghi fluidi, l’assenza di gerarchie, quel senso di comunità  sempre meno presente ormai nei nuovi abitati. Piccola nell’aspetto, ma grande nel pensiero, questa Donna continua a sbalordire non soltanto con le sue opere, ma anche con il proprio modo di rivedere e “riscrivere” una Biennale, all’insegna non più delle grandi o mega strutture cui le rassegne del passato ci avevano abituati (ed un po’ tediati), quanto delle piccole architetture, concrete visioni di ciò che e già , di ciò che sarà  e che potrebbe essere.

Luce naturale imperante, spazi elementari pur nella loro complessità , colori morbidi e tenui, scenari magici e misteriosi, grandi e in miniatura, quelli che la sua ideatrice è riuscita a ricreare per un visitatore che, competente, amatore o non, è stato reso libero di determinare un proprio percorso, un itinerario tra le istallazioni, fatto anche di incontri personali nell’architettura.
Dopotutto, è questo il concetto a cui si è voluto mirare: una nuova progettualità  che induca al superamento dell’isolamento e la restituzione del senso di associazione.

Meno spazio, dunque, alle utopie; molto più per le idee funzionali e realistiche che hanno coinvolto lo spettatore tanto da sentirsi attore dentro le “ricostruzioni architettoniche”; non estraneo ad esse, ma parte delle stesse.

Egli ha potuto cambiare la scena passando per una stanza vuota seppur piena di “uomini al muro”; ha potuto rivedere sé stesso dentro un grande schermo come parte dell’opera; ha potuto volare tra le nuvole eteree di Transsolar & Tetsuo Kondo o immaginare di fuggire dal caos quotidiano per rifugiarsi nel sasso di Smiljan Radic e Marcela Correa (che, forse non a caso, è stato collocato nel vano di ingresso ed accesso alla mostra); è entrato fisicamente dentro l’abitazione sospesa ed in miniatura del padiglione del Giappone; ha ascoltato e percepito il silenzio dell’architettura che, come le persone, chiedono nuove forme e maggiore attenzione al contesto (basta aver attraversato il tunnel buio e “scrosciante” di Olafur Eliasson, illuminato solo da luci strobo e caratterizzato da alti getti d’acqua rotanti); si è rilassato fuori dalle corderie, nei giardini con sedie e luci di design di grande effetto visivo, ma in perfetta armonia con il paesaggio industriale dell’arsenale: serialità , innovazione, tecnologia di ieri e di oggi, sostando magari sul trampolino in cemento traslucido di Peter Ebner and friend, per “staccarsi” dalla riva, proiettandosi verso i capannoni dell’arsenale.

Storia e futuro insieme. Si è preso un caffè al bar (che tutto sembra tranne che questo); ha acquistato un libro nella nuova libreria o ne ha preso ancora uno nella sede della biblioteca dell’ASAC.

Non credo di riuscire ad esprimere in parole tutto ciò che i miei occhi hanno visto, ciò che la mia pelle ed il mio spirito hanno percepito, quello che la mia mente ha immaginato. Posso solo scrivere qualche parola e mostrare alcune immagini che spero siano in grado di tradurre correttamente almeno un’infinitesima parte di quanto la Biennale abbia rappresentato. Tanto, troppo era da vedere e raccontare. Ancora più da ideare.

Chi avrà  fatto parte di questa magica giostra delle idee, avrà  certo risuolato le proprie scarpe; tanto è stato necessario per visitare tutti i trenta padiglioni storici, costruiti a cura delle nazioni espositrici ed a firma di grandi architetti (Rietveld, Aalto, Hoffmann, Stirling, Scarpa), che da soli raccontano la storia dell’architettura novecentesca, accomunati da un unico obiettivo: rappresentare criticamente il presente, dettando un’agenda di temi, potenzialità  e problematiche che la nostra architettura deve necessariamente affrontare, per uscire dall’oblio della staticità  in cui è precipitata.

Lungo era il percorso espositivo, con 53 partecipazioni nazionali di tutto il mondo, dislocati anche in sedi “distaccate” quale quella del Portego e della Sala delle Colonne a Ca’Giustinian (sede della Biennale), che ospitano rispettivamente la “Biennale Works in progress” e l’ “Evento Speciale della Biennale Architettura 2010, LUMA/ Parc des Ateliers, di Frank O. Gehry e Gehry Partners”.
Venti gli eventi collaterali, promossi da enti e istituzioni internazionali, collocati in diverse sedi a/e fuori Venezia.

Tanto, dunque, è stato dato per riflettere sul futuro delle nostre città  e del territorio che CI appartiene.
Idee e proposte provenienti da contesti diversi, potenzialità  per il futuro, diversi approcci progettuali per distinti modi di vivere nelle varie parti del globo, da discutere anche con i giovani, affinché questi possano considerare la Biennale come momento di riflessione, approfondimento e, soprattutto, di ricerca.

Quest’anno, proprio a loro sono state infatti indirizzate due nuove proposte: “Destinazione Biennale di Venezia. Universities meet in architecture” “, seguita da “I Sabati dell’Architettura”, incontri con direttori, architetti (Gregotti, Portoghesi, Hollein, Sudjic, Forster, Burdett, Betsky, Sejima) critici e personalità  del mondo dell’architettura, per discutere sulla contemporaneità . Peccato che non tutte le Facoltà  italiane abbiano accettato l’invito. Un’occasione di confronto e crescita perduta!

Un’incontro nell’architettura. Questo è stata e sarà  sempre la Biennale di Venezia.

Sebbene abbia chiuso ormai quelle porte che da mesi erano aperte al mondo intero, tenterò di mostrarvela nel suo complesso, ma procedendo per gradi nella esposizione dei contenuti di ciascun Padiglione/Paese, mettendo in risalto le soluzioni tecniche più rappresentative, l’allestimento potente e/o dissidente, gli archetipi originali, le innovazioni significative, le sperimentazioni sofisticate.
Vi mostrerò immagini d’insieme e di dettaglio, per far sì che possiate ripercorrere con me il lungo sentiero di una mostra impareggiabile, in grado di rappresentare una panoramica sullo stato dell’arte e della cultura internazionale, ma anche e soprattutto del nostro Paese, che è un GRANDE PAESE.

Testo, grafica ed immagini di Luisa Doriana Lombardo

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