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Il compito del cardinale Angelo Scola a Milano : educare l'uomo

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A Castel Gandolfo, alla vigilia del suo terzo viaggio in Germania, il card. Angelo Scola, neo-arcivescovo di Milano, è stato ricevuto in udienza privata da papa Benedetto XVI per la consegna del 'pallio', la veste liturgica propria degli arcivescovi metropoliti. Alla cerimonia erano presenti anche i Vescovi ausiliari della Diocesi di Milano. La consegna del Pallio e' avvenuta nel giorno del 20* anniversario dell'ordinazione episcopale del cardinale Scola: e' stato consacrato, infatti, infatti il 21 settembre 1991 ad opera del cardinale Bernardin Gantin, nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.Il nuovo Arcivescovo di Milano Cardinale Angelo Scola, a scanso di equivoci, ha già  detto prima di fare il suo ingresso solenne nella Diocesi di Milano domenica 25 settembre quali saranno le sue linee pastorali: la Chiesa è una e unica, non vi sono parecchie Chiese, a sè stanti e a sè sufficienti; la legge sovrana dell'unità  domina intimamente la Chiesa fondata dal Signore. Non dimentichiamo le parole di Paolo a conforto della tesi di Scola: “Siate solleciti nel conservare l'unità  dello spirito nel vincolo della pace; un corpo solo, un solo spirito, come in un'unica speranza siete stati chiamati; uno è il Signore, una la fede, uno il Battesimo, uno Iddio Padre e di tutti” (Ef 4, 5).
Ci pensino bene coloro che per la chiesa non hanno che giudizi di critica o di antipatia; ci pensino coloro che la giudicano un diaframma inutile fra Dio e l'uomo e non ricordano ch’essa è il punto d’incontro dell’amore di Cristo per noi; “la casa delle nozze, cioè la santa Chiesa”, scriveva S. Gregorio Magno (Om. 38; P.L. 76, 1287). Dal suo magistero, dal suo ministero «ogni fedele è sostenuto in maniera effettiva nel dono di se stesso a Cristo; . . . mediante la rete ch’essa va tessendo, ognuno si trova realmente collegato a tutti i suoi fratelli; . . . mediante la voce umana che insegna e che comanda, ognuno ascolta, ancor oggi, la voce del suo Signore» (cfr. De Lubac, Médit. 205).

Nella Chiesa ambrosiana, che apre molti orizzonti nuovi agli studi biblici, teologici e umanistici, il cardinale Scola invita a ricercare e ad approfondire le scienze religiose senza privare il pensiero cristiano del suo rigore speculativo, e non consente che nella scuola filosofica, teologica e scritturale della Chiesa entri l’arbitrio, l’incertezza, la servilità , la desolazione, che caratterizzano tante forme del pensiero religioso moderno, quand’è privo dell’assistenza del magistero ecclesiastico. Scola sembra dire con Paolo: “Non conformatevi alla mentalità  di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà  di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto . . . La carità  non abbia finzioni; fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rm 12, l-2; 9-10). Non sarebbe perciò nel vero chi pensasse, per esempio, che il Concilio rappresenti un distacco, una rottura, ovvero, come qualcuno pensa, una liberazione dall’insegnamento tradizionale della Chiesa, oppure autorizzi e promuova un facile conformismo alla mentalità  del nostro tempo, in ciò ch’essa ha di effimero e di negativo piuttosto che di sicuro e di scientifico, ovvero conceda a chiunque di dare il valore e l’espressione che crede alle verità  della fede.

Che cosa è la Chiesa? tutti ricordano certamente la risposta del catechismo, detto di Pio X: «La Chiesa è la società  dei veri cristiani, cioè dei battezzati, che professano la fede e la dottrina di Gesù Cristo, partecipano ai suoi sacramenti e obbediscono ai Pastori da Lui stabiliti». Va bene: ma ci dice tutto su la Chiesa questa definizione? Questa è piuttosto una descrizione, esatta e sufficiente per avere una nozione distintiva della Chiesa dalle altre società ; ma essa sveglia, piuttosto che soddisfare, il bisogno di capire «per causas», cioè nei suoi principi costitutivi le ragioni intrinseche di questo fatto associativo, tanto diverso da ogni altro, che si chiama la Chiesa. Tutti vorremmo sapere qualche cosa di più su di essa.
La Chiesa è un mistero, non solo nel senso della profondità  nascosta della sua vita, ma nel senso altresì ch’essa è una realtà  non tanto umana e storica e visibile, ma altresì divina e superiore alla nostra normale capacità  conoscitiva; come noi oggi la vediamo, la Chiesa è essa stessa un segno, un segno sacro, un sacramento, che ora non possiamo adeguatamente conoscere nella sua vera e interiore pienezza, ma che proprio ora ci attrae ad uno studio nuovo e stupendo. Come faremo dunque per capire qualche cosa di domandava Papa Montini per esempio? Ecco: se vi è studio, in cui anche l’amore contribuisce alla conquista della verità , noi crediamo che questo è lo studio della Chiesa: per ben conoscere la Chiesa bisogna amarla. Poi studiarla. Uno degli studi più interessanti, a questo riguardo, è la grande Costituzione dogmatica intitolata «Lumen Gentium»; dove, fra le altre cose degne di nota, è la molteplicità  dei nomi dati alla Chiesa; essa è designata con figure e con simboli, com’era costume agli autori dei Libri sacri, alieni dall’uso di termini astratti e di definizioni speculative, come facciamo noi moderni; e basterà  fare l’elenco di questi nomi per capire come la realtà  della Chiesa sia vasta e complessa: essa è chiamata: l’Israele di Dio, il regno dei cieli, la città  di Dio, la Gerusalemme celeste, la Spose di Cristo, la madre dei fedeli, il campo di Dio, la vigna del Signore, l’ovile di Cristo, la casa di Dio, il Popolo di Dio, e finalmente il Corpo mistico di Cristo. Questa molteplicità  di appellativi ci indica come la Chiesa possa essere considerata sotto differenti aspetti, ciascuno dei quali è come la luce d’un diamante dalle molte facce.

La Chiesa, secondo il cardinale Scola, sicuramente non è uno schermo che ci impedisce di arrivare a Cristo e di salire a Dio, com’è stato detto da molti estranei alla nostra ineffabile comunione, ma è lo specchio – il segno sacro – in cui dobbiamo vedere Cristo e in Lui Iddio. Prendiamo uno nomi; della Scrittura quello, ad esempio, di Casa di Dio. È San Paolo che lo usa, scrivendo a Timoteo. Egli dice: «. . . Ti scrivo affinché . . . tu sappia come diportarti nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e base della verità » ( 1Tm 3,15). Questa immagine della casa, paragonata alla Chiesa, richiama alla mente altre immagini simili che troviamo nel libro sacro sempre riferite alla Chiesa. Ancora San Paolo dirà  dei cristiani: « voi siete l’edificio costruito da Dio» ( 1Co 3,9). E il pensiero corre alle parole di Gesù stesso: «Edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18); corre alla pietra d’angolo (Mt 21,42), ch’è Cristo medesimo, che sostiene tutta la costruzione, e corre a Simone, a cui Gesù cambiò il nome chiamandolo Pietro, perché fosse in certo modo assimilato a Cristo, suo Vicario visibile noi diciamo, nella funzione di fondamento, di sostegno dell’edificio, di cui Cristo dice di voler essere il costruttore, l’architetto, l’artista.

A quali concetti dottrinali ci guida allora questa immagine della Chiesa-casa di Dio? Difficile dire in poche parole; ma ciascuno di noi può trovarli, quasi da sé. Per esempio: la casa non è una dimora? Non indica un’interiorità ? Un’abitazione dove una famiglia s’incontra? Non dice una unità  interiore, un’intimità  vissuta e protetta? Applicata ad una pluralità  di persone, l’immagine della casa non c’insegna che questa pluralità  deve formare comunità ? Che essa deve essere unita nell’amore, nella concordia, nell’identità  di pensieri e di sentimenti? Come potrebbe essere altrimenti la Chiesa di Cristo, concepita come la casa di Dio?
E se questa casa non è destinata soltanto a riunire la società  ecclesiale, che vi abita, ma è destinata a rendere possibile, a provocare, in un certo senso, l’incontro dei fortunati inquilini con Dio, quella casa ci appare sacra, diventa tempio, ci mostra come la Chiesa è luogo vero e necessario per comunicare con Dio, è il punto focale della sua luce, è il posto dove Egli ci attende, dove Egli a noi si concede, dove gli possiamo parlare con fiducia, dove possiamo godere della sua presenza, dove si può vivere il «mistero» del rapporto istituito da Cristo fra Dio e gli uomini. Nella Chiesa diventiamo «domestici Dei, familiari a Dio» (Ep 2,19).

Basterebbe meditare questo concetto della Chiesa-casa di Dio per avere sorgente di pensieri senza fine: dov’è il pluralismo, che alcuni vorrebbero attribuire alla unica Chiesa? Dov’è l’esteriorità , che altri vorrebbero rimproverare alla Chiesa visibile? senza dire che quella similitudine della costruzione ci offre lo spunto per tante altre considerazioni. La Chiesa è una costruzione in fieri, non è costruzione finita, è in via di compimento. Non ci parla questo aspetto dell’immagine considerata della storia della Chiesa? Del suo divenire, promosso da Cristo, il vero costruttore della sua Chiesa, mediante l’azione dello Spirito Santo; non ci parla della sua presente incompiutezza, del suo continuo accrescimento, della sua bellezza, che si rivela man mano che la costruzione si compie, cioè che i secoli passano? Non ci ricorda questa immagine la perennità  della Chiesa, la sua fedeltà  ai propri fondamenti dottrinali e strutturali, la sua verità , eguale oggi a quella di ieri e di domani, ma sempre suscettibile di approfondimento, anzi di elevazione, nell’identità  del contenuto e nella prodigiosa freschezza d’espressione?

È chiaro che la Chiesa vive ed opera per continuare e diffondere la missione stessa di Cristo. L’idea fondamentale, che presiede a tutta la dottrina sulla Chiesa, è quella della continuazione. La Chiesa è un prolungamento e uno sviluppo del Vangelo. La Chiesa porta Cristo nel tempo, nei secoli, nella storia; e cammina verso l’incontro finale, escatologico con Cristo glorioso. Una parola del Signore la fiancheggia: «Io sono con voi, tutti i giorni, sino alla fine del mondo» (Mt 28,20) . Ma questa continuità  non è puramente statica, immobile, conservatrice. La Chiesa non è un’istituzione chiusa in se stessa, e sollecita soltanto di difendersi e di conservarsi. La Chiesa è nata per dare testimonianza: «Voi, – disse il Signore agli Apostoli prima di lasciarli – voi sarete testimoni miei . . . fino agli ultimi confini della terra» [At 1, 8]. La Chiesa è destinata a coprire la terra, è istituita per tutta l’umanità : è universale, cioè cattolica.
Bisogna riflettere bene su questa vocazione nativa della Chiesa, e ricordare come il Signore ha voluto che pensassimo a lei come ad un seme, che di natura sua deve germinare, espandersi e fruttificare; o come ad un fermento, che penetra, solleva, gonfia e infonde sapore alla massa.

La Chiesa – come ci insegna il Magistero – è per natura sua apostolica, cioè missionaria; vogliamo dire sempre attiva e tutta impegnata nella fatica di diffondere il suo messaggio di salvezza, la sua concezione della vita e del mondo, il suo Vangelo.
Che cosa fa dunque la Chiesa? È chiaro: essa parla, essa predica, essa insinua, diffonde, proclama la dottrina di Cristo. Predica sopra i tetti, ciò che le è stato confidato all’orecchio (cfr. Mt 10,27). La Chiesa: dov’è viva, dov’è capita, dov’è fedele al mandato di Cristo, ha una prima e indispensabile attività : quella dell’annuncio della Parola divina. La fede, radice di tutto il sistema dottrinale e morale del cristianesimo, esige tale annuncio, esige la predicazione: «La fede – dice S. Paolo – deriva dall’ascoltazione, fides ex auditu» (Rm. 10, 17). La catechesi – una catechesi esatta, fedele, ortodossa, non arbitraria, non mutevole – è il suo primo dovere. La liturgia della parola precede quella eucaristica. La Chiesa è l’eco continua, esatta e autorevole, degli insegnamenti del Signore. La Chiesa è un apostolato, è una scuola, è una «propagazione della fede», è uno sforzo, che arriva fino all’ostinazione (ricordate gli Apostoli? «. . . non possiamo tacere: At 4, 20); fino al sacrificio (ricordate Stefano? E che cosa sono i martiri, se non predicatori, testimoni del Vangelo col sangue?) Una sua nota caratteristiica del Vaticano II è il riconoscimento della vocazione, estesa a tutti i fedeli, dell’obbligo, anzi, che essi hanno di «diffondere e di difendere con la parola e con l’opera la fede come veri testimoni di Cristo» (Lumen Gentium) gli uomini, li istruisce, li fortifica, li mobilita, li fa partecipi della sua missione salvatrice, sveglia in essi la coscienza d’un messianismo comune e promuove in ciascuno di essi la dedizione alla causa di Cristo, non per un sogno di conquista e di potenza, ma per un impegno d’amore a tutti i viventi e per la gloria del regno di Dio.

A questo riguardo osserviamo due fenomeni diversi e divergenti nell'apostolato. Quello di membri della Chiesa, che si direbbero stanchi d’essere cattolici, e che profittano di questo periodo storico della Chiesa per mettere tutto in discussione, per instaurare una critica sistematica ed eversiva della disciplina ecclesiastica, per cercare la via più facile al cristianesimo, senza sacrifici e più comodo; un cristianesimo svigorito dell’esperienza e dello sviluppo della sua tradizione; un cristianesimo conformista allo spirito delle altrui opinioni e ai costumi del mondo; un cristianesimo non impegnativo, non dogmatico, non «clericale», come dicono. Può mai logicamente derivare una simile stanchezza d’essere cattolici dal Vescovo Angelo Scola? Non c'è bisogno di fare l'esegesi e l'ermeneutica degli scritti del Cardinale per capire che egli vuole un cristianesimo forte e non mediocre, molle, vile, tiepido descritto nella prima Lettera di Pietro.

L’altro fenomeno invece è la scoperta d’essere cattolici, e la gioia d’esserlo, e con la gioia il vigore operativo nuovo, che mette in tanti cuori desideri, speranze, propositi, audacie di nuova attività  apostolica. Il Vaticano II ha sollevato una generazione di spiriti vigilanti, che hanno udito la voce chiamante e implorante della Chiesa a maggiore sforzo d’apostolato; che si sono affrancati dal gregarismo, dalla passività , dall’acquiescenza che fa spiritualmente schiava tanta gente del nostro mondo odierno; e che si sono imposti qualche sacrificio – per alcuni, un grande sacrificio – per essere disponibili alla buona operosità  della Chiesa. Non hanno temuto alcuni di offrire a Cristo la loro vita (il fenomeno delle .vocazioni adulte è eloquente e magnifico); altri, anche Laici – marito e moglie, talvolta -, sono partiti per i Paesi di missione; altri, già  fissi al loro posto di lavoro, hanno deciso per un rinnovamento spirituale profondo e per un’attività  più generosa ed ecclesiale; hanno «scelto la santità ». E la santità , come sottolinea Benedetto XVI, oggi comporta la carità  dell’apostolato. Io penso che sia opportuno e doveroso riflettere sul rapporto tra la Chiesa di Cristo e l’umanità  sofferente.

L’idea di Chiesa è di natura sua associata a quella d’una fortuna, d’una felicità , d’un regno pieno di luce e di vita, così che facilmente dimentichiamo che la beatitudine ch’essa annuncia, promette e realizza è, per il momento, cioè durante la nostra vita terrena, essenzialmente spirituale e non mai totale; è la beatitudine della coscienza e della speranza, che solo oltre il nostro pellegrinaggio nel tempo avrà  la sua pienezza. Le beatitudini del Vangelo proiettano nel futuro l’adempimento delle loro promesse. «Spe enim salvi fatti sumus»: siamo infatti, dice S. Paolo, salvati nella speranza (Rm. 8, 24); e S. Pietro scrive: «Dio . . . ci ha rigenerati in una speranza viva» (1 Petr. 1, 3). Il che vuol dire che la Chiesa, cioè la religione cristiana, non è una società  d’assicurazione contro i mali della vita presente; anzi, se bene si osserva, è una società  dove le sofferenze umane trovano una accoglienza preferenziale. La Chiesa, si, è tutta rivolta ad alleviare i mali dell’uomo, il peccato per primo, il dolore, la miseria, la morte. Essa è pietosa verso ogni deficienza umana; e proprio per questo corre fra la Chiesa e l’uomo che soffre una profonda simpatia. Nessuna filantropia può, in linea di principio e spesso in linea d’esperienza vissuta, gareggiare nella sollecitudine verso i bisogni dell’uomo con la carità , la quale a tutti i motivi del naturale interessamento aggiunge la soprannaturale valutazione della dignità  di ogni essere umano, riconosciuto figlio di Dio e fratello in Cristo; e fa inoltre sentire l’urgenza del sommo precetto evangelico, quello di amare chi è più piccolo, più solo, più bisognoso, più sofferente.

Chi sa ben valutare questo rapporto può comprendere la tendenza della Chiesa a chinarsi amorosamente verso i poveri e gli infelici come ci hanno insegnato gli ultimi due Arcivescovi di Milano Martini e Tettamanzi; anzi, a fare di essi i suoi figli prediletti, e a dare a se stessa il titolo umile e glorioso di Chiesa dei Poveri, non che a proporsi come programma la povertà . La prima beatitudine del discorso della montagna risuona sempre nel cuore della Chiesa. Ne abbiamo ascoltato l’eco diventare più forte e avvincente durante il Concilio (cfr. Decr. Christus Dominus CD 13 e Presbyt. Ordinis PO 6). E chi considera attentamente tale rapporto tra Chiesa e sofferenza umana, potrà  altresì qualche cosa comprendere del mistero di avversità , che la Chiesa medesima incontra e subisce. La passione del Signore, Capo della Chiesa, continua nelle sue membra, nel suo mistico corpo, la Chiesa (cfr. Col 1,24 ) Questa è la storia della Chiesa; e non soltanto storia passata, ma in non poche regioni del mondo storia presente. «Come Cristo – dice il Concilio – ha compiuto la redenzione nella povertà  e nella persecuzione, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza» [Lumen Gentium LG 8]; e cita S. Agostino: la Chiesa «prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio” (De civ. Dei, 18, 51, 2; P.L. 41 ).

Bisogna rendersi conto -diceva spesso Paolo VI – che noi apparteniamo non ad una Chiesa trionfante, come qualche laicista e anticlericale scrive, ma ad una Chiesa militante contrastata e sofferente e forse bisogna amarla meno la Chiesa per questo? Non vorremo noi partecipare alla sua povertà  e alla sua passione? Dimenticheremo noi che la Chiesa, anche nella sua sofferenza, e proprio per questa stessa sofferenza, sperimenta insieme le «consolationes Dei», e «sovrabbonda di gaudio in ogni tribolazione» sua? 2 Co 7,4). Non la ameremo noi forse di più la nostra Madre, la santa Chiesa, proprio perché sofferente? Chi alimenta avversione preconcetta verso la legge della Chiesa non ha il vero «sensus Ecclesiae»; e chi crede di far progredire la Chiesa, demolendo semplicemente le strutture del suo edificio spirituale, dottrinale, ascetico, disciplinare, in pratica demolisce la Chiesa, accoglie lo spirito negativo di chi la diserta, e di chi non l’ama, e non la costruisce. Leggiamo San Paolo; si vedano i primi passi autentici della vita della Chiesa; e si scorgerà  come la premura di esprimere norme positive e autorevoli a difesa, a sostegno, a guida della comunità  cristiana, dimostri appunto la vitalità  della Chiesa, e come tale premura dica la sapienza, la forza, la carità  di coloro che «lo Spirito Santo ha posto quali vescovi a reggere la Chiesa di Dio» (At. 20, 28).

E il cardinale Angelo Scola che da ottimo teologo sa che la Chiesa non serve a nulla, in senso assoluto, nell’ordine temporale, perché appunto «il. suo regno non è di questo mondo» (cfr. Gv 18, 36); ma è la luce del mondo. Cioè ella ha con sé un messaggio di verità  e di sapienza che dà  senso a questa scena della nostra vita terrena; ella accende la coscienza dell’uomo; ella gli svela chi è lui (perché rimane sempre l’antico enigma dell’uomo su se stesso; al grande precetto della filosofia: conosci te stesso, la risposta è sempre ambigua, parziale, mutevole, dolorosamente incerta). La Chiesa dà  all’uomo vera coscienza di sé. Anzi, a bene osservare, la coscienza che la Chiesa fa sorgere nell’umanità  non è semplicemente una sapienza speculativa; è una coscienza operante; è un’inquietudine, se volete; un fermento, una vocazione, una responsabilità , un fine da raggiungere; un uomo nuovo da ricavare dal vecchio, un regno da conquistare, una nuova vita da iniziare qui per goderne oltre il tempo la pienezza.

Nessun umanesimo, come quello che la Chiesa annuncia ed instaura, immette tante idee, tante energie, tante speranze nel cuore dell’uomo, quanto la Chiesa. Ecco perchè Angelo Scola sa che dal prossimo 25 settembre (data del suo ingresso solenne ) a Milano la sua sua missione è quella di educare l’uomo; educare, nel senso etimologico e socratico della parola, di estrarre, di mettere in efficienza, di portare a perfezione. Sa, sì, che l’uomo è un essere implicito e per giunta radicalmente ferito dal peccato originale; ma la Chiesa ha un’immensa stima, un’immensa fiducia, un immenso amore per l’uomo; e perciò, come dice il Concilio, «essa si sente realmente e intimamente solidale col genere umano e con la sua storia» (Gaudium et spes, 1).

Alberto Giannino

[22 settembre 2011]

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