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‘Il Clan dei Miserabili’, intervista all’autore Umberto Lenzi

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umberto lenzi il clan dei miserabili

Un thriller noir ben strutturato, un romanzo giallo all’italiana che ci riporta tra le atmosfere dei libri e del cinema di un tempo, in una Roma post bellica, immersa nei fumi dei sigari e delle Nazionali, tra un bicchiere di Fernet e uno di chinotto. Il tutto coadiuvato da un’indagine del solito Bruno Astolfi che tiene completamente incollati al libro.

Questo è ‘Il Clan dei Miserabili‘, edito da Cordero Editore, ultima fatica del maestro Umberto Lenzi che ci regala, dopo anni di grandi film, ancora un’opera letteraria degna dei grandi polizieschi e che si fa leggere tutta d’un fiato.

Sì perché le avventure dell’investigatore privato Bruno Astolfi, questa volta alle prese con un omicidio avvenuto sul set de ‘I Miserabili’ di Riccardo Freda, proprio mentre si accingeva a prendere il treno verso Parigi per il suo viaggio di nozze, tengono con il fiato sospeso, appassionano non solo per il grande intreccio narrativo pieno di colpi di scena, ma anche per l’attenzione alla caratterizzazione dei personaggi in campo.

E così tra personaggi famosi che hanno fatto grande il cinema italiano e altri inventati di sana pianta dall’autore, si finisce immersi in un romanzo noir tanto quanto, per usare un termine cinematografico, neorealista nel rappresentare una città alle prese con le magagne della criminalità e la ricostruzione dopo la Seconda Guerra Mondiale.

‘Il Clan dei Miserabili’ ha una delle sue forze nel carisma di Bruno Astolfi, un detective per il quale non si può non provare immediata simpatia, ma anche tutti quei personaggi di contorno da Patanè alla moglie Elena, personaggio secondario ma chiave, risultano irresistibili e quanto mai affascinanti.

Un libro da leggere tutto d’un fiato, che ti tiene incollato alle pagine e che ci fa apprezzare ancora di più come scrittore Umberto Lenzi.

Proprio al maestro che, dopo innumerevoli successi cinematografici come Roma a mano armata e Napoli violenta, ha appeso la telecamera al chiodo per dedicarsi alla scrittura, abbiamo avuto la possibilità di porre qualche domanda.

Com’è stato passare dall’esperienza di regista  cinematografico a quella di regista delle proprie parole in un romanzo?
Semplice. Ho abbandonato la macchina da presa per scelta di vita. E il passaggio alla letteratura è stato un modo eccellente per allontanare l’ Alzheimer.

C’è un motivo ben preciso per la scelta del film ‘I Miserabili’ di Freda come background di questo libro?
Si, Riccardo Freda era un maestro del cinema popolare, ed è a quel tipo di cinema che mi sono ispirato.
Ho scritto una serie di sei romanzi imperniati sul personaggio dell’ investigatore privato Bruno Astolfi. Il primo, Delitti a Cinecittà, che uscì nel 2008 ed è stato ristampato dalla Mondadori nel 2013, si svolgeva sul set di un celebre film del 1940, La Corona di Ferro di Alessandro Blasetti. Il mio proposito era raccontare mediante dei romanzi mistery gli anni del cinema italiano che vanno dal periodo dei cosiddetti telefoni bianchi al nascere del neorealismo nell’ immediato dopoguerra. E contemporaneamente rievocare la storia del nostro paese negli anni terribili della guerra e del sopravvenuto tempo di pace. Caratterizzato da molto vicende criminali essendo l’ Italia ridotta allo stremo dalle devastazioni e dalla miseria.

Com’è cambiato secondo lei il rapporto tra cinema e letteratura negli anni?
Il rapporto è sempre stato quello del passaggio da una tecnica di narrazione a un’altra. Il film tratto da un romanzo diventa un’ opera completamente diversa, poiché usa un linguaggio differente.

Preferisce che le sue storie prendano vita su celluloide o su cellulosa?
Non faccio più cinema, quindi mi dedico alla scrittura con lo stesso impegno di quando lavoravo sul set.

Crede sia più interessante narrare un’indagine ambientata in un periodo in cui non ci si poteva aiutare con la tecnologia per risolvere il caso?
I casi criminali si risolvono, a mio parere, esclusivamente con l’ acume e il talento dell’investigatore. Il grande sviluppo della tecnologia ha portato solo danni al romanzo giallo, perché ha diminuito l’importanza dell’ investigatore-uomo. E sopravvalutato quella dei supporti scientifici.

Si può parlare di Bruno Astolfi come un summa di tutti i commissari che sono apparsi nei suoi film?
Assolutamente no. Astolfi non usa mai armi nei miei romanzi, ma solo la concentrazione, il talento e qualche volta i pugni, perché da giovane era stato pugile. Non è violento come i commissari dei film degli anni ’70, ma uomo di una cultura diversa, più aderente alla prassi dei personaggi del noir americano degli anni ’30 e ’40. E’ un uomo della razza dei grandi investigatori privati dell’ hard boyled, tipo Sam Spade e Philip Marlowe, a cui mi sono in parte ispirato .Tuttavia, la psicologia e l’ironia di Bruno Astolfi uomo hanno molti punti di contatto con il celebre commissario Maigret, creato dal grande scrittore belga Georges Simenon.

Il prossimo libro, se è in progetto, riprenderà dall’omicidio su un altro set che si accenna alla fine?
Non credo. Penso che Il Clan dei Miserabili, che termina agli inizi del 1948 con la promulgazione della Costituzione, sia la fine del ciclo. Però, come è stato ripetuto mille volte, mai dire mai.

Per concludere, qualche possibilità che ‘Il clan dei Miserabili’ diventi un film per il cinema o per la televisione?
Gli editori dei precedenti romanzi non sono riusciti ad accordarsi con qualche casa produttrice di fiction TV, spero che ci riesca per questo ultimo romanzo Marco Cordero, che è appassionato e esperto dei processi industriali.
Io mi assumerei il compito, con l’amico Giancarlo De Cataldo, di elaborare la sceneggiatura. Ma per la regia penserei a un giovane.

[30/03/2014]

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