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Hobbitt, la Desolazione di Smaug, cupo viaggio verso la luce. Di Sara Prian

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Ripartiamo lì dove eravamo rimasti con “Un viaggio inaspettato” (consiglio ripasso prima della visione di questo capitolo) dove i nani, guidati da Thorin Scudodiquercia (Richard Armitage), assieme all’Hobbit Bilbo (Martin Freeman) e a Gandalf il grigio (Ian McKellen), proseguono il loro percorso per riconquistare la Montagna Solitaria e il perduto regno dei Nani di Elbor.

Durante il loro viaggio incontreranno nuovi pericoli, ma anche nuovi alleati come gli Elfi Legolas (Orlando Bloom) e Tauriel (Evangeline Lilly) e l’umano Bard (Luke Evans) che li aiuteranno ad arrivare proprio alla montagna dove il temibile drago Smaug li attende.

Tre ore e non sentirle: questa è l’ennesima magia di Peter Jackson. Con “Lo Hobbit – La desolazione di Smaug”, infatti, si ha la sensazione che tutto si concluda, con un inevitabile cliffhanger, troppo presto ed invece, mano all’orologio, sono già passati ben 170 minuti.

Le ambientazioni verdi e gioiose della Contea, vengono sostituite da quelle desolate e cupe di questo secondo capitolo che, però, non mancano ancora una volta di coinvolgere visivamente uno spettatore sempre più ammaliato dalle prodezze del team tecnico, e non solo, di Jackson.

Smaug fa le veci, molto più perfide, di Gollum ed è creato in maniera talmente minuziosa da far sentire quasi l’odore di bruciato che emana. L’interpretazione in CGI di Benedict Cumbertach, lo Sherlock chiamato a prestare le sembianze al drago, è convincente e concede al villain della situazione di acquisire sembianze antropomorfe che ci permettono di relazionarci di più con Smaug e di non vederlo solo come una creatura fantastica.

La storia non presenta grosse novità rispetto al precedente, ma si arricchisce di nuovi personaggi che, forse, non erano poi così necessari. A parte Bard, Tauriel e soprattutto Legolas, richiesto a furor di popolo ma non presente nel libro di Tolkien, sono gli Elfi che, almeno ne “La desolazione di Smaug”, hanno più la funzione di accontentare il pubblico femminile grazie all’introduzione di un particolare triangolo amoroso.

La pellicola riesce ancora una volta a convincere, portando in superficie nuove caratteristiche dei personaggi, viaggiando in parallelo tra il titolo e le ambientazioni che rispecchiano proprio la desolazione. Un deserto che non colpisce solo i luoghi, ma anche l’animo dei protagonisti, in special modo di Bilbo, che fa il primo passo verso il burrone delle tenebre corrotto nell’animo dall’unico anello, ma anche Thorin sembra, in questa parte, propendere più verso l’egoismo e così Gandalf non è, praticamente, mai visto in una location luminosa.

“Lo Hobbit – La desolazione di Smaug” è una di quelle rare opere che riesce nell’operazione di allontanarti dalla realtà e farti passare tre ore in un mondo lontano, coinvolgente, spaventoso, ma accattivante dal quale è difficile sottrarsene.

Sara Prian

[13/12/2013]

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