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Fatima Bhutto: “Abbiamo bisogno di speranza per sopravvivere”. Nostra intervista

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Negli ultimi anni il Pakistan ci sta regalando delle opere letterarie di assoluto valore, sia dal punto di vista della narrazione, diretta e coinvolgente, sia dal punto di vista delle denuncia.
Fatima Bhutto si colloca all’interno di questa corrente grazie al suo primo romanzo “L’ombra della luna crescente”. Un’opera toccante, tagliente e pulsante che ci regala un potente spaccato del Pakistan contemporaneo.

L’opera racconta la storia di tre fratelli dalla diverse personalità: Amanu Erum, il maggiore, sogna di lasciare la sua cittadina pakistana per crearsi delle possibilità negli Stati Uniti, Sikandar, il fratello di mezzo, è un medico con a carico una moglie problematica che fatica a superare un grave lutto che gli ha colpiti e, infine, Hayat è uno studente dalle idee radicali che con Samarra sogna di liberare la sua città. Durante l’ultimo giorno di Ramadan, le vite dei tre giovani si intrecceranno, per una giornata in grado di cambiare per sempre il loro destino.

L’autrice con il suo libro, di indubbio valore storico e letterario, ci racconta di un presente che prende vita grazie alla continua presenza di un passato, vissuto attraverso il racconto di diversi piani temporali, che determina lo stesso presente. I fantasmi di un tempo che fu nelle vite dei personaggi non li abbandonano mai, trasformandoli e permettendo così all’autrice di raccontarci le diverse facce del Pakistan, permettendo al lettore di avere una visione a 360 gradi.

Ha scritto un’ autobiografia, una collezione di poesie e ora un romanzo. Com’è stato il passaggio da un genere letterario all’altro e quale stile l’è piaciuto esplorare maggiormente?
E’ stata una sfida. Scrivere un romanzo di finzione è stato come imparare un nuovo linguaggio; con una nuova grammatica e nuove sonorità, ma è stato anche più liberatorio. La fiction non perdona i tuoi pregiudizi, diversamente dalla non-fiction che richiede che tu prenda una posizione, che ti schieri da una parte, giudichi e condanni, il romanzo di finzione è più compassionevole, ti chiede solo che tu osserva e che lo faccia con partecipazione.

Scrivere un romanzo è sempre stato un suo desiderio o l’ha sentito più come una necessità?
E’ stata una necessità. Molte cose del mio paese, in special modo la battaglia delle donne, mi hanno sempre sconvolto e toccato profondamente ed è stato con il romanzo che ho avuto finalmente l’occasione di parlarne e condividere le mie sensazioni.

Appartenenza: cosa significa per lei?

E’ qualcosa con cui ho combattuto a lungo. Sono nata a Kabul, sono cresciuta a Damasco, ho vissuto a Karachi e ho studiato sia a New York che a Londra, perciò l’idea di appartenenza è sempre stata qualcosa che ho ricercato. Credo però che l’appartenenza sia qualcosa che proviene dal cuore, non dal luogo di per sé.

C’è un personaggio nel suo libro, L’ombra della luna crescente, che le ricorda più di lei stessa?
C’è qualcosa in ognuno di loro con cui simpatizzo. Tuttavia per me il cuore pulsante del romanzo sono le due donne, Mina e Samarra che sono state distrutte dalla violenza e dagli abusi di potere, ma sono state coraggiose e hanno combattuto a loro modo.

Ai nostri giorni, quanto è importante la tradizione per i ragazzi?
Dipende da dove provieni. Non so se esista un paese sicuro dove sia facile essere una donna. Dovunque tu viva, in Europa, in Africa o in Asia, una donna deve pensare alla sua incolumità ogni volta che viaggia da sola, deve combattere duramente per il suo posto di lavoro e deve sempre avere a che fare con tutti quelli che vogliono metterla a tacere. Ma le donne sono delle guerriere no? Perciò anche in un ambiente ingiusto, combattono e perseverano. Sono delle sopravvissute.

Aman Erum mi ha ricordato il protagonista del “Fondamentalista riluttante”. Se conosci il libro di Mohsin Hamid o il film di Mira Nair, si trova d’accordo?
Non ho visto il film, ho solo letto il libro. Aman Erum nel mio immaginario è diverso, perché non proviene dalla stessa classe a cui appartiene il personaggio creato da Mohsin Hamid. Aman sta combattendo non solo contro i confini e la politica di casa sua che lo soffoca, ma non fa nemmeno parte di quell’elite che possa far qualcosa per essi. E ciò fa parte del perché scelga poi nel libro di collaborare. Il Pakistan è ora un paese che richiede sacrifici al suo popolo. Sia che tu sacrifichi te stesso, come fa Samarra, pagando duramente per aver combattuto in ciò in cui credi o se vuoi vivere una vita agiata allora ti verrà chiesto di sacrificare qualcuno o qualcos’altro – una fedeltà a una causa, ad un posto, ad un’idea a un impegno.

E ‘stato difficile trovare un equilibrio nel raccontare le tre parti dei tre personaggi principali?

Era come se parlassero da soli quando stavo scrivendo, ho scoperto che mi stavano guidando più di quanto lo stessi facendo io! Ho solo dovuto fidarmi di loro e lasciarli decidere come il loro viaggio sarebbe continuato.

Elementi importanti della sua opera sono i sogni e le speranze. Quanto importanti essi sono stati e lo sono ancora nella sua vita?
Molto importanti. Abbiamo bisogno di speranza per sopravvivere. Senza sogni come potremo capire come resistere all’ingiustizia o mancanza di imparzialità che incontriamo nella nostra vita?

Nel futuro le piacerebbe scrivere ancora romanzi o provare qualcos’altro?
Mi piacerebbe scrivere ancora romanzi.

C’è qualche possibilità che il suo ultimo libro diventi un film?

Lo spero! Sto parlando con alcuni registi in questi giorni e stiamo discutendo le opzioni… vedremo cosa accadrà…

Sara Prian

[04/12/2013]

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fatima buttho

(photo credits: Amean J)

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