La riforma della pubblica amministrazione, ormai in dirittura d’arrivo, ha già una forma delineata. La staffetta generazionale, cioè il prepensionamento in favore di quei lavoratori che si trovano ora a restare in servizio un numero spropositato di anni, pensata soprattutto per offrire un maggior ricambio con i giovani, pare ora definitivamente accantonata dal ministro Madia.
Prepensionamento bocciato, quindi, in compenso il governo accelera sulla cancellazione del trattenimento in servizio, cioè la possibilità di rimanere al lavoro anche dopo l’età della pensione, cancellando, di fatto, quei due anni in più che esistevano su base volontaria.
La riforma apre le porte alla mobilità obbligatoria, cioè la possibilità di spostare un dipendente da un ufficio ad un altro anche senza il suo consenso, oggi invece necessario.
La mobilità obbligatoria diventa così possibile a parità di stipendio ed entro precisi limiti geografici. Quanto precisi? Il criterio dovrebbe essere misto: i dipendenti non potrebbero essere spostati a più di 50 chilometri e comunque la distanza tra la vecchia e la nuova sede dovrebbe essere percorribile al massimo in un’ora con i mezzi pubblici.
Tutto ciò in naturale controtendenza rispetto alle nuove inclinazioni socioeconomiche che parlano di ridurre il pendolarismo, per non pensare alle nuove linee culturali sul lavoro che dovrebbero orientare verso la smaterializzazione del luogo fisico e relativi spostamenti, come il telelavoro.
Paolo Pradolin
[11/06/2014]
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