Le motivazioni dei giudici d’appello del processo a Calciopoli hanno confermato il reato di associazione per delinquere a Luciano Moggi (2 anni e quattro mesi), Pierluigi Pairetto (due anni) e Innocenzo Mazzini (due anni) chiudendo un caso, un torrente di discorsi e interpretazioni fantasiose dopo la sentenza pronunciata il 17 dicembre 2013, l’ultimo grado di giudizio sullo scandalo esploso nel maggio 2006.
Secondo i giudici di Napoli, ci sono alcune certezze a cominciare dal fatto che «esistono molteplici e articolati elementi probatori» sull’esistenza di Calciopoli e dalla figura di Moggi che «esercitava un ruolo preminente ed apicale» anche per «una spregiudicatezza non comune».
Il sistema è stato giudicato più esteso rispetto a quanto era stato delineato dal verdetto di primo grado. La Corte ha definito i sorteggi arbitrali «ambigui»; ha sottolineato che «la leggerezza e l’apparente convivialità con cui avvenivano gli accordi per la designazione delle griglie arbitrali tra personaggi come Bergamo, Moggi o Giraudo appaiono gravissime alla luce della evidente lesione del principio di terzietà. Dagli atti emerge il ruolo preminente di Moggi sugli altri sodali, dovuto non soltanto alla sua personalità, ma anche per la capacità di porre in contatto una molteplicità di ambienti calcistici fra loro diversi e gestirne le sorti con una spregiudicatezza non comune». Ai designatori arbitrali, Moggi «riusciva ad imporre proprie decisioni, coinvolgendoli strettamente nella struttura associativa e nel perseguimento della comune illecita finalità… E ha creato i presupposti per far sì di avere un’influenza abnorme in ambito federale».
La Corte d’Appello ha dedicato un passaggio anche alle incursioni di Moggi negli spogliatoi dell’arbitro, definite «eclatanti». E ha rievocato il caso-Paparesta dopo Reggina-Juve (7 novembre 2004), quando «venne alla luce una condotta a dir poco aggressiva da parte del d.g. della Juve» e in cui «appare significativa la non isolata mancata indicazione di tale grave episodio da parte dell’arbitro nel referto».
Ampio spazio è stato dedicato anche alle schede telefoniche straniere. C’erano e l’uso delle sim distribuite da Moggi a designatori, arbitri e dirigenti è per la Corte «il punto centrale» dell’intera vicenda.
La Corte ha riconosciuto la solidità di quanto avevano sostenuto in tante occasioni pubbliche e per anni Moratti e Facchetti.
Ieri Moratti ha commentato: «Si è definitivamente acclarata la colpevolezza delle persone che hanno creato quella situazione, quel mondo, quell’organizzazione; tutto questo dà l’idea delle difficoltà che l’Inter ha trovato in quegli anni. Ha chiarito i dubbi che tutti avevamo a quel tempo e che adesso si sono risolti con la verità».
Redazione
[19/03/2014]
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