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All'Australian Open l'Italia non fa strada

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di Luca Ferrari
ferrariluca@hotmail.it

È appena giovedì, ma sul cemento di Melbourne dell’Australian Open, la prima prova del Grande Slam del circuito tennistico maschile e femminile, di tennisti italiani non c’è quasi più l’ombra. A tenere alto l’onore della racchetta nostrana, le donne.
E non è certo una novità . Eliminate un po’ troppo precocemente nel singolare Roberta Schiavone, Flavia Pennetta e Roberta Vinci, al 3° turno sono sbarcate Sara Errani, che nell’ultimo match ha liquidato la russa Nadia Petrova con un inequivocabile doppio 6-2, e la svizzera naturalizzata italiana Romina Oprandi, che ha tolto di scena un’inguardabile Schiavone. Disastrosa, com’era prevedibile, la spedizione azzurra maschile. Più bravura degli avversari o evanescenza dei nostri atleti? Entrambi i fattori presumibilmente. Un fatto però resta sempre e comunque. Cambia lo sport, non la mentalità .

L’Italia (pubblico e stampa) è brava e esaltare, ma non a costruire. Nello sport, nella vita e nella politica. Nel corso degli ultimi 30 anni, dopo la generazione d’oro di Panatta, Bertolucci e Barazzutti, il settore maschile non è più stato capace di produrre atleti all’altezza. Buoni per qualche sporadica impresa, ma che raramente sono stati chiamati (in casa) con il loro vero nome: mezzi giocatori. Diego Nargiso, Omar Camporese, Paolo Canè, Cristiano Caratti, Davide Sanguinetti, Gianluca Pozzi, Stefano Pescosolido, Renzo Furlan, Andrea Gaudenzi, etc. tutti capaci di qualche exploit e vincere, saltuariamente, pure qualche torneo minore, ma di fatto non hanno mai saputo imporsi veramente a livello mondiale, meno che meno nelle prove Grande Slam.

Emblematico da questo punto di vista fu il 1990, quando nel 1° turno di Coppa Davis l’Italia fu capace di battere 3-2 la più che quotata Svezia, reduce nelle ultime sei edizioni del torneo da tre successi e altrettante finali. Il telecronista Rai Giampiero Galeazzi rimase celebre per il suo trasporto agonistico durante le partite. Anche allora però non si volle vedere la mera realtà  dei fatti. Mats Wilander era in calo costante, e lontano anni luce dal giocatore che nel 1988 aveva conquistato tre prove su quattro del Grande Slam. Stefan Edberg non giocava. L’altro singolarista era il non certo impossibile Jonas Svensson. L’Italia vinse sulla terra battuta di Cagliari. Fu il trionfo. Esagerato. Come se si fosse già  conquistata l’Insalatiera. A far tornare (sprofondare) l’Italia con i piedi per terra ci pensò, quasi senza sudare, la solida Austria di Thomas Muster e Horst Skoff che a Vienna spazzò via il tennis nostrano con un umiliante 5-0.

Il tennis maschile è debole. Riconquistata la serie A in Coppa Davis dopo undici anni, ho assistito a telecronache e commenti trionfali per aver superato il modestissimo Cile, non esattamente la Spagna di Rafael Nadal, nello spareggio per tornare nel tabellone principale. Il prossimo 10-12 febbraio, al 1° turno, sul cemento indoor di Ostrava, l’Italia se la vedrà  con la Repubblica Ceca che può schierare il possente Tomà¡Å¡ Berdych (n. 7 del mondo), finalista a Wimbledon 2010 e presenza fissa al World Tour Finals di Londra nell’ultimo biennio, e Radek Å tÄ›pà¡nek (n. 31), veterano del circuito. Inutile pensare che l’Italia possa uscire dal catino ceco con l’accesso ai quarti di finale.

Per certi versi il tennis femminile è ancora più emblematico di quello maschile. Sconosciuto alla maggior parte degli sportivi, “d’improvviso” si scopre che ci sono atlete di valore. La prima grande rivoluzione arriva nel 2006 quando, a sorpresa, la squadra azzurra trionfa in Federation Cup superando in finale il fortissimo Belgio. Il successo sarà  poi bissato nell’edizione 2009 e 2010, consacrando così il tennis italiano femminile come uno dei più solidi del panorama mondiale. Alfiere di questi successi soprattutto Flavia Pennetta, la prima tennista italiana a entrare nella top ten della classifica WTA, e Francesca Schiavone, prima tennista italiana a vincere una prova del Grande Slam, il Roland Garros nel 2010. Ma non solo. Tenniste come Roberta Vinci (25) e Sara Errani (47) sono un’ulteriore dimostrazione del valore della scuola “rosa”.

Pennetta e Schiavone hanno ridato “visibilità ” a uno sport troppo sepolto da tv private e per anni senza più la gioia di poter godere di successi di qualche beniamino di casa. Il loro talento e le loro performance in campo sarebbero dovute essere valorizzate di più, soprattutto per preparare le nuove generazioni. Non è stato fatto. O se è stato fatto, si vede molto poco. C’è un poi un problema anche pratico. Com’è possibile che in Italia si giochi nella stragrande maggioranza dei circoli su campi in terra battuta quando l’altrettanto stragrande maggioranza dei tornei ATP e WTA si disputa su superfici sintetiche o cemento (coperto o meno che sia)? Come si può preparare atleti ad affrontare il circuito professionistico se per prime le strutture non sono all’altezza?

Venerdì 20 gennaio, sul campo n. 3 dell' Australian Open, Romina Oprandi se la vedrà  con la tedesca Julia Georges, testa di serie n. 22 del torneo. Toccherà  poi alla Errani cercare la strada per gli ottavi di finale spegnendo l’agonismo della rumena Sorana Cirstea. Yes, you can!

[19/01/2012]

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