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Oggi lo si può certamente definire il giorno di Michael Moore che arriva al Festival decisamente "incazzato", tanto da incitare ad una rivoluzione pacifica la gente di tutto il mondo.

Una grande ressa si è infatti messa in fila per assistere alla proiezione del nuovo documentario "Capitalism: a love story"
, pellicola dedicata al crack finanziario americano.

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Un lavoro che ricorda molto da vicino "Roger&Me", il primo film del cineasta che narrava i tentativi di Moore di incontrare il presidente della General Motors (società  che ha sede nella città  di Flint, la stessa di Moore e in cui lavorò per 33 anni il padre), che sul finire degli anni ottanta praticò numerosissimi licenziamenti.
Questa volta però "vittima" delle sue incursioni sono le banche, le grandi aziende e gli avvoltoi delle società  immobiliari.
Tutti responsabili dei 14 mila disoccupati al giorno e del lastrico di milioni di famiglie.

Spiega il regista. "Un anno e mezzo fa lo scenario ha cominciato a cambiare, l’economia era franata e veniva gestita in modo folle ed è per questo che ho cominciato a pensare al film. Volevo chiamarlo Mike ultimo film". Continua inoltre affermando di non aver mai creduto al sogno americano perché per lui "Il sogno americano è credere agli Stati Uniti democratici ed alla giustizia. Credo che sia difficile chiamare una cosa "democrazia" quando l'economia controlla le vite della gente, non c'è niente di democratico".
E a chi lo accusa di produrre i suoi film con soldi di grandi società  risponde "Tutti i miei film sono stati prodotti da un sistema che non è di destra né di sinistra, ma pensa soltanto ai profitti. E io sono un regista che, in vent’anni, ha fatto guadagnare cifre favolose. Mi danno due milioni di dollari per fare film che al box office ne incassano almeno 50. Continueranno a finanziarmi, anche se dico cose scomode".

Con un montaggio eccellente, giochi di ironia pungente come lo spot di una banca doppiato come il padrino e un Gesù che esclama parabole capitalistiche, si candida ad essere uno dei migliori film della mostra.

jean-hugues_anglade_-_patrice_chreau_-romain_duris.jpg Altro film in concorso, il francese "Persécution" di Patrice Chéreau, che può essere tranquillamente definito "l’inutilità  fatta pellicola".
Storia presentata come un thriller che però del genere ha ben poco, se non nei primi minuti.
Due giovani fidanzati vivono la loro difficile storia d’amore tra il distacco di lei e l’ossessione di lui, in cui si inserisce un misterioso uomo a turbare ulteriormente il loro rapporto.

La pecca più grande del film sta nel fatto che la storia si trascina nel vuoto per l’intera durata narando qualcosa di troppo simile se non ancor più scontato di qualunque vicenda sentimentale di tutti noi.

                                                                              Mattia Cagalli  staff_mattia1.jpg

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