Verbo poco amato dai bambini ai quali chiediamo di ubbidire.
L’importante sarebbe pronunciare domande e indicazioni di senso.
Un tempo si diceva che ubbidire era segno di rispetto, un bambino ubbidiente era anche bravo, ben educato e tutti lo apprezzavano. Poco importava chiedersi se quel bambino acconsentiva volentieri o se si sentiva obbligato, impaurito (talvolta).
A scuola un bambino consenziente, disponibile, è considerato bravo (anche lui).
Spesso parla poco, si apparta, non c’è tempo per occuparsi di lui, ci sono i “disubbidienti” da seguire per convincerli ad ascoltare.
Il bambino che ubbidisce può, anzi deve, attendere il suo turno.
In fondo si sa poco, sia di chi ubbidisce, sia di chi disubbidisce.
L’obbedienza spontanea e motivata crea armonia fra gli esseri umani, ma un sano disubbidire spalanca porte e strade piene di fascino.
Chissà se è più facile ubbidire o il suo contrario? Entrambe le situazioni mettono in moto la volontà, l’intelligenza, le ragioni del cuore e del buonsenso.
Forse è meglio non approfondire il pensiero che “se si ubbidisce” vuol dire che qualcuno comanda o stabilisce per noi alcune regole (che possono essere anche giuste), ma che fanno sentire “dentro” l’animo e nella testa una certa ribellione che, non per infierire, fa immediatamente venir voglia di non ubbidire. O no?
Andreina Corso
18/05/2015
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