Questa volta spieghiamo il nostro Verbo con un esempio.
Ecco uno scrittore che sta per raggiungere la parte finale del suo libro. Ci sta lavorando da tanti anni e ora con il cuore che batte sente di aver quasi raggiunto il punto finale.
Potrebbe rilassarsi e godere di quel momento, ma qualcosa gli dice di rileggere tutto, con calma, con pazienza e poi valutare se davvero il lavoro “raggiunto” rivela la storia che lo scrittore aveva in mente.
Gli occhi sono stanchi e la mente pure. Una sottile perfidia gli suggerisce di saltare qualche pagina, non val la pena di essere così pignoli!
Eppure non si può, non ce la fa l’uomo e non ce la fa l’artista a dar per scontato che si possa soprassedere ad una rilettura critica, attenta e rigorosa.
Sì, raggiungere non vuol dire completare. E neppure obbliga a sedersi comodi su una poltrona. Del resto i protagonisti del libro lo guardano attenti dalle pagine, aspettano i suoi occhi su di loro, le sue mani sulla loro vita, i suoi pensieri per le loro vicende.
E poi, se lui mette la parola fine, che ne sarà di loro?
Sì, non è brutto essere foderati da una copertina, passare da una mano all’altra, arrivare in occhi altrui e sostare in una specie di vacanza forzata.
Cosa ha raggiunto lo scrittore se non la solitudine di aver lasciato andare il suo libro con tutti i suoi figli?
Andreina Corso
12/04/2015
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