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Vincenzo Monfrecola, ‘’La stagione degli scapoli’’ tra humor inglese ed ironia partenopea – Di Alice Bianco

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Facendo eco alle comiche, ai corti e alle commedie cinematografiche degli equivoci dei primi anni del Novecento, La stagione degli scapoli, dello scrittore Vincenzo Monfrecola, edito da Gargoyle Editore (16.00 €, pp. 207), è un romanzo divertissement tutto all’inglese. La Londra vittoriana fa da sfondo ad una storia irriverente, ricca di positivismo, punti di vista sui quali riflettere, il tutto, condito da un pizzico di ironia e sentimentalismo.

Il romanzo, ambientato appunto nella Londra degli inizi del ‘900, vede il protagonista, il critico letterario Cyril Billingwest, appena stato lasciato ad un passo dall’altare dalla fidanzata Vera, decidere avventatamente, prima di scrivere un decalogo di regole per tenere lontane le donne, poi, grazie all’aiuto del cugino George, scapolo convinto, di fondare un sindacato maschile, promuovendo la singletudine e tenere lontani gli uomini dal matrimonio: lo Scapolificio. I due però, decidono di assumere una segretaria tuttofare e a presentarsi all’appello è Penelope Turton, una bellissima ragazza per la quale entrambi perderanno la testa.

Scegliendo di raccontare la storia come narratore onnisciente, Monfrecola immerge il lettore nelle vicende di questi due protagonisti, Cyril, il più simpatico, affabile e persino accattivante e George, il cinico e spietato cugino. Uomini caratterialmente e fisicamente diversi, entrambi concordi nell’allontanare dalla loro vita le donne, finché la figura femminile della signorina Penelope Turton non fa capolino e sconvolge le loro esistenze.

Uomo e donna, il loro rapporto, le loro differenze caratteriali e i loro ruoli, il La stagione degli scapoli sono messi in discussione, tra situazioni equivoche, concetti e pregiudizi, il tutto impreziosito da un’ironia che ne alleggerisce i temi, rendendo la narrazione scorrevole, piacevole con la quale è possibile farsi quattro risate.

Grazie ad un susseguirsi di piccole gags, episodi all’apparenza insignificanti e con uno spiccato accenno allo humor inglese, Monfrecola confeziona infatti un romanzo adatto a qualsiasi tipo di lettore che voglia distrarsi dalla grigia attualità, scoprendo un mondo pieno di colori, primo fra tutti il rosso, quello dell’amore.

In occasione dell’uscita del libro, abbiamo potuto intervistare lo scrittore partenopeo, il quale ci ha svelato qualcosa in più sul romanzo, sui personaggi e su come sia nata l’idea di questo libro.

Com’è nata l’idea di questo romanzo? Perché inoltre, come per i suoi precedenti romanzi (Il Decisionista e Lo strano furto di Savile Row), Londra è la città in cui lei ambienta le sue storie?
Amo inventare storie, ma le storie non nascono per caso. Nel mio caso prendono spunto da piccoli eventi quotidiani che ci siamo disabituati a notare. Un tempo questi piccoli eventi si raccontavano durante i pranzi domenicali quando si riuniva la famiglia, oppure con i vicini sul pianerottolo di casa. La stagione degli scapoli è nato ascoltando dei giovani che parlavano di matrimonio e lo facevano come se fosse una malattia. Allora mi sono chiesto come avrebbero affrontato l’argomento i loro coetanei di 100 anni fa? Le mie storie sono ambientate a Londra perché amo questa città e, forse, ci ho vissuto in una mia vita precedente. Va anche detto che l’Inghilterra è patria dell’humour e trovo estremamente interessante creare situazioni dove l’humour anglosassone interagisce con l’ironia partenopea. Ma bisogna farlo senza eccedere. Bilanciando le due anime.

Ai due cugini Cyril e George, i protagonisti del romanzo, vengono affiancate le figure femminili di Penelope, Vera, ma anche altre meno importanti. Queste donne, con un carattere ed una personalità molto forti, sembrano quasi porsi e sentirsi ad un livello superiore rispetto all’uomo, ma secondo lei era veramente così all’epoca o queste sono caratteristiche “moderne” introdotte da lei?
Nei miei romanzi i personaggi agiscono in funzione della storia e non viceversa. Anche se va detto che loro hanno acquisito una propria personalità che si è evoluta man mano che il romanzo andava avanti. Ma più che di donne con personalità molto forti, parlerei di uomini vittime di se stessi e del loro ego e questo avveniva anche ad inizio secolo. Il gioco del romanzo sta proprio qua.

Nel romanzo, prima con Le dodici mosse di Ulisse, poi con il concorso di poesie indetto per riuscire a portare a termine una missione amorosa, sembra che lei abbia quasi voluto sottolineare come amore e problemi sentimentali siano relazionabili alla scrittura e pare inoltre che essa possa diventare anche strumento per “guarire” e risolvere queste pene del cuore, è cosi?
Non c’è una connessione specifica tra l’amore e la scrittura. Però siamo pur sempre agli inizi del ‘900 e, la penna e la carta, come oggi lo sono i telefonini e Facebook, erano lo strumento più diffuso per esprimere amore e stati d’animo.

In una delle ultime gag da lei narrate nel romanzo, quella in cui Cyril si trova a scontarsi su un ring con Bill Stevenghouse, ricorda molto il corto Charlot boxeur (The Champion) (1915) di e con Charlie Chaplin, re delle commedie degli equivoci. Per caso si è ispirato ad esso o no?
No, la scena ha preso vita senza spunti di riferimento. L’idea è nata spontaneamente dall’evoluzione della trama. In genere i miei romanzi non sono pianificati preventivamente. Essi nascono da un’idea poi lascio che i personaggi si muovano sulla scena liberamente.

L’ironia e lo humor inglese che lei inserisce in questo ma anche nei romanzi precedenti è anche una delle sue caratteristiche personali e se c’è, a quale personaggio da lei creato, è più affezionato? E con quale, presumibilmente, si immedesima di più?
Io mi affeziono a tutti i personaggi che, nel corso del romanzo, inevitabilmente mi diventano amici. Essere amico di Cyril, George, Penelope e Vera non è stato facile perché mi è toccato rincorrerli per tutta Londra, tra parchi e mercati, fino a Brighton; ho dovuto subirne le personalità controverse, le contraddizioni e, a volte, anche qualche arroganza, metteteci poi le loro pene d’amore con tutte le conseguenti eccentriche strategie da essi maturate per lenirle… insomma una faticaccia! Ma una faticaccia estremamente divertente, nel contempo, perché, in fondo, mi sono rivisto in ognuno di loro.

Alice Bianco

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