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Un anno di purgatorio e l’Hellas Verona che torna in serie A

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Un anno di purgatorio e l’Hellas Verona che torna in serie A

Ora presto, tutti sul carro del vincitore, dopo che per mesi si è scritto, letto e detto di tutto.

Inutile negarlo, il pessimismo cosmico attorno alla squadra di Fabio Pecchia, si è respirato per
lungo tempo. Tifosi disillusi e depressi dalla retrocessione dell’anno precedente, hanno sparato su allenatore e società a priori.

“Il presidente non vuole tornare in serie A”, “interessa solo il paracadute economico”, “Pecchia non ha esperienza, è un incapace” e altri messaggi di questo tenore. Tanto che lo stesso mister ha ammesso che in altre società, nel momento di flessione della squadra sarebbe stato esonerato. Alla fine invece, siamo qui a festeggiare una (sofferta) promozione diretta e a programmare la prossima serie A.

Il Presidente Setti ha resettato tutto dalla rovinosa retrocessione ed è ripartito con uomini nuovi, prendendosi anche rischi personali con scommesse che oggi possiamo dire vinte.

Il direttore sportivo Filippo Fusco ha operato con un budget ridotto ma con grandi idee di mercato, Daniel Bessa e Bruno Zuculini su tutte. Inoltre la sinergia con l’allenatore, mai messo in discussione e al contrario, difeso, sono basi su cui fondare un nuovo ciclo.

Chi merita davvero parole di elogio è proprio Fabio Pecchia, un tipo di allenatore che a Verona mancava da tempo. L’ambiente gialloblù è rimasto legato per lungo tempo ad Andrea Mandorlini che, oltre ad aver ottenuto risultati si è caricato letteralmente la squadra sulle spalle per un periodo. Difendendola da tutto e da tutti. Un carattere diretto, forte ma anche difficile e quindi causa anche di problemi con i media e non solo.

Nessuno toglie i meriti a Mandorlini ma lo stile di Pecchia è completamente diverso. Si è presentato nella città scaligera con un curriculum tutt’altro che rassicurante, un esonero a Latina e tre anni da secondo di Rafa Benitez.

Apparentemente troppo poco per affrontare un campionato difficile e “scorbutico” come quello della serie B. Ha portato una idea di calcio sempre propensa all’attacco e nella prima parte del campionato ha davvero esaltato la piazza.

Possesso palla, gioco a terra e valanghe di goals. Poi due orribili sconfitte consecutive, come quelle con Novara e Cittadella hanno rotto il magnifico giocattolo. La squadra ha faticato a ritrovare gioco e risultati, vittima probabilmente di una fragilità mentale inaspettata.

Qui è uscito l’allenatore, ha mantenuto calma e a discapito di una apparente mancanza di personalità, ha avuto sempre lo spogliatoio in pugno e i giocatori lo hanno sempre difeso. Che fossero dalla sua parte lo si vedeva chiaramente in campo e nelle dichiarazioni post partita.

Mai una parola fuori posto, mai i toni eccessivi e tranquillità trasmessa alla squadra e all’ambiente; il suo essere avvocato è emerso palesemente nelle interviste e nel modo di fare. Un signore come ne servirebbero nel mondo urlato e nevrotico del calcio.

Sul campo si è meritato la serie A, ora starà a lui dimostrare che il modo di fare, le idee di gioco e il carattere possono vivere benissimo nella massima serie.

Pur con i suoi errori, un tipo di allenatore che a Verona serviva.

Mattia Cagalli

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