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Torneranno i Prati, non sottovalutiamo l’incidente recitativo. Di Giovanni Natoli

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parla di per sè senza dover essere coadiuvato da nessuna storia. Questa scelta espressiva è da sempre la carta vincente di Olmi e anche il suo limite, la sua ostinata speranza; catarsi e chimera. caratteristica che talvolta mi allontana dal suo cinema in quanto ci ritrovo un po’ di ottusità.

Dove ho trovato ottuso questo film che senz’altro verrà annoverato tra i pochi titoli indispensabili relativi alla messinscena filmica del primo conflitto? A mio parere c’è questa fiducia totale nel “crudismo” recitativo. Pochi attori professionisti, taluni imbarazzanti e molti non attori dalla cadenza “innaturale”. Perchè non avere fiducia nella “menzogna” della recitazione? Fattostà che (e non me ne vogliano i fan tra i quali non mi annovero) ogni attore non professionista sembra una versione “nature” del tono sentenzioso di Marco Paolini. Quella cadenza grave e calante di chi non sa il respiro della parola recitata e che drammaticamente frantuma l’illusione di verità; specie in un film che in parte dovrebbe essere realista. Che poi, a ben vedere, non lo è davvero.

L’immagine choc del larice che si autoincendia (non certo memorabile), il canto del soldato napoletano a inizio film (questa sì invece invenzione stupenda), l’ambiente concentrazionario che, come tutte le prigioni, diviene automaticamente metafora materializzata, incubo vivente. Nonostante ciò, a favore di “Torneranno i prati” abbiamo un rigore di messinscena che non dà scampo; si avverte la totale fedeltà al principio antimilitarista.
In questo “ipocosmo” fatto di divise logore, stracci, febbri a 40, deliri, sbobba, gavette lercie, legno crepitante, immobilità nevosa abbiamo davanti agli occhi la partita della morte “per guerra” e l’insensatezza del tutto.

Personalmente prediligo il freddo rigore geometrico di Kubrick in “Orizzonti di gloria” anche in virtù della fiducia nella recitazione e per la capacità di mettere in atto la terrificante geometria della follia militare in una sala che è una scacchiera. Soprattutto, nel film di Kubrick non c’è una battuta dei dialoghi che sia fuori posto. Per apprezzare i pregi del film di Olmi, invece, dobbiamo sopportare un piatto Santamaria, che recita con pause sbagliate (colpa della regia immagino). E subire un non così originale commento musicale di Paolo Fresu, fatto di pochissime note di una scheletrica fisarmonica. Gli appassionati dell’etichetta ECM sapranno che siamo un po’ nel mondo dell’ovvio…

Comunque, andiamo a vedere questo film, teniamo dentro di noi il suo senso e il suo rigore ma non sottovalutiamo l’incidente recitativo: non facciamoci prendere dalla falsa idea che così è “più vero” perché non lo è affatto. Io trovo sia semplicemente un difetto causato da presunzione. Per il resto, lunga vita a Olmi.

TORNERANNO I PRATI:
regia Ermanno Olmi
con Claudio Santamaria, Alessandro Sperduti, Andrea Di Maria.

Giovanni Natoli

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