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Torneranno i Prati, la rilettura antimilitarista di Olmi. Di Giovanni Natoli

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Agosto di quest’anno è stato il centenario della Prima Guerra Mondiale; un conflitto ipocritamente sacralizzato da noi italiani, la cui conta però parte dal 1915.
Tanti sono i film che, volendo mettere sotto accusa il falso concetto di Grande guerra, fatta di eroi e martiri, mentre avevamo un esercito malandato, malnutrito e male armato, han pagato lo scotto di questa scelta anticonformista.

Pensiamo alle traversie di “Orizzonti di gloria”, ostracizzato in Francia sino ai primi anni ottanta. O al nostrano “La grande guerra” che tanto fece incazzare il grande Gadda e una pletora di melanconici sentimental-retorico-patriottardi.
Olmi, tutt’ora ricoverato a Milano, aveva promesso una sua rilettura del conflitto, in chiave inevitabilmente antimilitarista.
Un amante della natura, dei monti, della pace, di papa Giovanni XXIIImo, (a cui dedicò un malriuscito, strano film con Rod Steiger nel 1965, “E venne un uomo”) non avrebbe potuto prendere una posizione più netta.

Auguro lunga vita (parafrasando un suo altro film) all’autore de “L’albero degli zoccoli”; questo “Torneranno i prati” comunque ha il sapore di una sintesi di fine carriera. Ed è la natura a fare da titanico contraltare alla scarna vicenda, tratta dal racconto “La paura” di Federico De Roberto. Le monrtagne, immense e indifferenti.
La luna, che avvolge con la sua luce la monotonia del manto nevoso in cui son confinati i militari dello sperduto avamposto. La neve, appunto, quattro metri di spessore che avvolge il panorama e collabora a isolare l’avamposto.

Notevolissima in questo senso la direzione della fotografia di Paolo Olmi, figlio del regista; l’immagine, ripresa su pellicola e proiettata in sala col sistema 4K, è quasi totalmente decolorata. Un grigio ferro lirico e spietato intervallato dall’ocra delle luci della baracca. Scelte espressive di notevolissimo livello; siamo ai confini del cinema di poesia, cinema che …

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