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The Imitation Game e il cianuro di Turing

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Turing sta pulendo dal tappeto è quello che, probabilmente, aveva inserito nella mela avvelenata per provocarsi la morte. Nel film ciò non si racconta; Turing, fanatico del film Disney “Biancaneve e i sette nani”, sembra aver scelto questo modo di andarsene in omaggio alla pellicola che tanto lo appassionava. In quel periodo lo scienziato aveva scelto, in alternativa alla detenzione per reato di sodomia, una cura alternativa alla pena, a base di estrogeni che gli stava devastando la psiche e l’organismo. L’incontro con l’ispettore di polizia che aveva raggiunto la sua casa e i seguenti dialoghi tra i due, sono il punto di partenza per raccontare una straordinaria storia relativa all’avventurosa soluzione del codice nazista, storia che fu obbligata al segreto militare durato 50 anni.

Ma non solo: abbiamo modo di saggiare un esempio del cosiddetto “test di Turing”, un complesso esame relativo alla possibilità di stabilire se un computer sia in grado di pensare o meno (sto naturalmente sintetizzando ai minimi termini). All’interno del primo flashback ne abbiamo un altro dove veniamo a conoscenza della giovinezza dello scienziato, il suo essere diverso (probabilmente aspergeriano), il rifiuto della violenza e le strategie per opporvisi, la relazione di amicizia che diventa amore verso il suo unico amico di college, Christopher appunto (un vero arbitrio melodrammatico questo, abbastanza imperdonabile).

Una sceneggiatura di indubbia abilità, che tiene desta l’attenzione e che si avvale di una curatissima messinscena e di interpretazioni impeccabili. Prima tra tutte quella di Benedict Cumberbacht, nel ruolo del protagonista.
Cumberbacht, noto da noi soprattutto come protagonista della serie “Sherlock”, adattamento modernizzato del personaggio di Conan Doyle, è un eccellente attore e, fatalità, discendente al 17mo grado di Turing.

Accanto a lui una delle stelle al femminile del cinema odierno, Keira Knightley, che impersona Joan Clarke, assistente dello scienziato, selezionata attraverso un test pubblicato sul Times, un cruciverba e, inoltre, alter ego del genio; chiave di volta per un timido coming out e un confronto col femminile, che lo rende cosciente sia dei vantaggi della diversità (in generale) sia sulla possibilità di un piano più alto nelle relazioni tra persone.

Il film tratta materia complessa e ricca di svolte sicuramente avventurose, sebbene sia ambientato per gran parte in una baracca dove cinque cervelloni cercano di risolvere il crittogramma più difficile del mondo; la scelta narrativa si affida al richiamo (non sempre corretto) delle emozioni dello spettatore. Usa i mezzi del (melo)dramma per coinvolgerci e provare empatia per una persona che certamente qualche problema di empatia ce l’ha avuto.

Pur con misura non si nega né di inscenare un genio stravagante, fuori dagli schemi e dai sentimenti, anche se la sua apparente sordità emotiva ha più di una ragion d’essere per l’esito della missione. Siamo in un prodotto di volgarizzazione che dà un colpo al cerchio e uno alla botte: da un lato si cerca il rigore, dall’altro lo si rimpolpa con gli effetti drammatici e compassionevoli, riducendo la complessità delle cose avvenute con i trucchio della suspense..

Il fine può giustificare i mezzi: probabilmente qualcuno andrà ad approfondire la figura di Turing e scoprirà che il suo “oggi” è disseminato delle tracce della sua esistenza e si avranno degli imput in più per allargare la propria comprensione del “diverso” nel pensiero e nelle scelte di vita. E proprio per questi motivi il film non va rigettano ma nemmeno osannato.

THE IMITATION GAME (2014)
regia: Morten Tyldum,
con Benedict Cumberbach, Keira Knightley, Matthew Goode

giovanni natoli columnist la voce di venezia

Giovanni Natoli

[09/02/2015]

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