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Sul Veneto si può scommettere. Sull’Italia, invece, no. Di Roberto Ciambetti

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“Come chiamereste un paese che è cresciuto complessivamente del 4.6 per cento da quando adottò l’Euro 16 anni fa? Probabilmente quello che ha maggiori probabilità di lasciare la moneta europea. Oppure, più brevemente, Italia”.

Non è un gufo qualsiasi quello che si lancia in questa fosca previsione, bensì il Washington Post, secondo solo al New York Times per autorevolezza, il quinto negli Usa per tiratura ma il primo per penetrazione nelle città metropolitane.

Insomma, un giornale che fa opinione tra chi conta negli States, e non solo. Così fa impressione leggere che “E’ difficile dire cosa sia andato storto in Italia, perché nulla è andato per il verso giusto”.

In realtà l’articolo non fa che approfondire i motivi delle tante perplessità espresse dal Fondo Monetario Internazionale sul nostro Paese i cui dubbi sembrano essere confermati dagli ultimi dati dell’economia con quel più 0,2 per cento di aumento del Pil che non si può salutare come ripartenza dell’economia. Gli esperti dell’Istat ci restituiscono una immagine dell’economia decisamente allarmante: produzione industriale in frenata (-1,1% mensile e -0,3% annuale a giugno), la flessione dell’export (-0,6% congiunturale a giugno), inflazione stabile al +0,2%, un clima di fiducia in calo tra consumatori e imprese a luglio e soprattutto un mercato del lavoro ancora in difficoltà, con il tasso di disoccupazione salito a giugno al 12,7% (con record al 44,2% per i giovani) e gli occupati ancora in calo.

Solo uno scatto oggi difficilmente pensabile potrebbe portare la crescita del Pil allo 0.7 per cento previsto da Padoan. Il dato italiano sgomenta, perché in verità l’economia dovrebbe essere favorita dall’euro debole sul Dollaro, basso prezzo dei prodotti energetici e tassi di interesse in discesa grazie all’azione di contrasto alla deflazione della BCE.
Se con tutti questi fattori positivi si cresce solo dello 0,2 per cento vuol dire che il malato è grave.

I fattori positivi congiunturali che non sembrano fare effetto in Italia, in Veneto hanno stimolato la ripresa, visto che le previsioni parlano di una variazione positiva del Pil a fine 2015 del +1,1%, secondo i dati Unioncamere, con un 2016 migliore con una previsione di un +1,9%.
Nel 2015 l’export veneto dovrebbe crescere del +5,4% e il dato sarebbe stato decisamente migliore senza le sanzioni alla Russia che penalizzano nella nostra economia.

Le famiglie venete riprendono i consumi, con un più 1,7 % e acquisti mirati il che lascia ben sperare mentre rimane l’incognita della frenata cinese. Il tutto senza l’apporto del sistema bancario, il grande latitante di questi anni anche da noi.
Infatti i dati relativi ai primi mesi del 2015 dicono che la liquidità immessa dalla Bce non è arrivata alle Piccole e medie imprese, né al mondo dell’artigianato o del commercio: a fine febbraio la consistenza dei prestiti vivi al sistema produttivo veneto è diminuita rispetto a fine 2014 passando da 82,7 miliardi a 82,3 miliardi di euro.

Quello della latitanza del sistema bancario è un nodo che pesa come un macigno nell’economia italiana, che si trova a dover affrontare contemporaneamente la carenza di liquidità, l’abbattimento degli investimenti con le inefficienze strutturali denunciate dal Fondo Monetario Internazionale.

Il tutto mentre, oltre alla crisi ucraino-russa, il Mediterraneo è posto sotto pressione dall’instabilità dei Paesi del Nord Africa e del Vicino oriente, sotto il ricatto del califfato e del terrorismo dei fondamentalisti, con la tragedia dei flussi migratori a cui l’Italia non sa dare alcuna risposta.

Sul Veneto si può scommettere. Sull’Italia di Matteo Renzi è difficile puntare anche un solo penny.

Roberto Ciambetti

18/08/2015

Sul Veneto si può scommettere. Sull’Italia, invece, no. Di Roberto Ciambetti

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