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Revenant, Inarritu tende solo a fare il “grande cinema”

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Revenant, Inarritu tende solo a fare il “grande cinema”

Esisteva già una messinscena cinematografica delle disgrazie di Hugh Glass, raccontate in “Revenant”. Nel 1971 esce sugli schermi “Uomo bianco va’ col tuo Dio” (Man in he wilderness) per la regia di Richard Sarafian. Di quella pellicola contiene, tra le cose mandate a memoria dei posteri, la curiosa Arca con cui si muove John Huston a guida della carovana.

Negli anni ’70 la questione dei diritti negati agli indiani e una visione differente del “western” cinematografico riusciva a produrre pellicole come questa citata.
A mio parere “Revenant” non è un remake del film di Sarafian; entrambi utilizzano le medesime memorie di Hugh Glass.

Una cosa è certa: l’unica cosa a cui importa a Inarritu è se stesso. Normalmente lo accomuno al nostro Sorrentino. Autori che principalmente amano rimirarsi. E che altro mostrerebbe, difatti, “Revenant”? I prestiti altrui sono molteplici: in primis il Malick di “Brave new world”, per le scene oniriche e i flashback relativi alla moglie indiana di Glass. Tentativi di far rivivere i fasti di “Corvo rosso non avrai il mio scalpo” senza la concretezza del film di Pollack. Un tocco tarkovskiano. Ma soprattutto il tentativo (non molto serio) di citare l’Herzog di “Aguirre furore di Dio” ma senza le ossessioni del grande regista tedesco, che al cinema ci crede fino in fondo.

Abbiamo titanici pianosequenza, una cura maniacale della forma (grandiosa la fotografia di Emmanuel Lubetzki, già immenso in “A proposito di Davis” dei fratelli Coen). Ma l’allestimento di un

The Moviegoer, appunti di uno spettatore cinematografico. Di Giovanni Natoli.

progetto così estenuantemente titanico, qui ancor più di “Birdman”, sembra non corrispondere a un adeguato controllo dei piani narrativi.

Ad un certo punto l’alternarsi delle vcende di Glass e del trapper che lo ha abbandonato al suo destino, paiono appartenere a due film distinti. I personaggi sono ritratti in maniera manichea; il bene-bene contro il male-male. Le caratterizzazioni sono vetuste e infantili (Fitzgerald che usa “il buon Dio” per giustificare le sue nefandezze è una litania già sentita in mille altri western). La suspence legata a questo film origina anche dal countdown per la notte degli Oscar.

Vincerà o no Di Caprio, grazie a “Revenant”. Personalmente mi auguro di no. E non perchè Di Caprio non sia un ottimo attore, bensì perchè in “Revenant” il suo tour de force è manifestamente un pretesto per strappare applausi alla platea.
Se dovesse mai arrivare un Oscar per questo film mi auguro se lo prenda Tom Hardy, realmente ad alti livelli.

Tornando al plot, che dovrebbe essere dedicato in buonissima parte alla questione dei pellerossa, essa è solo un ingrediente che di tanto in tanto fa capolino. A momenti riusciti (vedi l’indiano impiccato con un cartello al collo il cui sarcasmo sarebbe degno di “Charlie Hebdo”) anche qui la narrazione disperde così tanto il tema che non ci si fa poi così caso. Ma alla fine Inarritu tende solo a fare il “grande cinema”, che per lui è solamente un colpo d’occhio. E certamente il film ha una cura da fare paura ma in platea, all’ennesima sfiga di Glass la gente mugugna e ridacchia, forse anche tediata dalla lunghezza del metraggio.

Il redde rationem è così condito da frasi banali sul bene e il male da far regredire il cinema di almeno quaranta anni. Bisogna essere stati alla larga da tanti e tanti film capitali (da i già citati passando per l’immenso “Piccolo grande uomo” di Penn sino a “Gli spietati” e alla crème dei western italiani, tipo “Il grande silenzio”) per trovare magnetiche e illuminanti le battute degli attori e la messinscena.
Però ogni tanto il regista si ricorda delle sue qualità: nel finale ci regala uno sguardo in macchina decisamente memorabile che riesce a salvare in extremis una vicenda che ben poche ambiguità riserva. In attesa di cosa ci riserva Tarantino con il suo “Hateful eights” (almeno lui è un “maneggione” postmoderno) posso cassare “Revenant”, a mio modesto parere di “Moviegoer”, come film “non pervenuto”.

REVENANT-REDIVIVO ( 2015)
regia:  Alejandro González Iñárritu
con: Leonardo Di Caprio, Tom Hardy, Will Poulter, Domhall Gleeson

giovanni natoli rubrica cinema su la voce di venezia

Giovanni Natoli

31/01/2016

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  1. Errata corrige: scusate ma la fotografia di A proposito di Davis è di Bruno Delbonnet non di Emmanuel Lubetzki che resta grandissimo ma che ha diretto per loro la fotografia di Vurn After Reading. Mi scuso con i lettori

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