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Pordenonelegge, sedicesima edizione: la festa del libro con gli autori

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Pordenonelegge, sedicesima edizione

Il logo, quest’anno, è una rotella di liquirizia nera, che stacca sull’ormai consolidato fondo giallo. Siamo a Pordenonelegge, la “Festa del libro con gli autori” giunta quest’anno alla sedicesima edizione.

La città, nei giorni del festival (quest’anno dal 16 al 20 settembre) è letteralmente invasa da una folla di lettori (vogliamo sperarlo), appassionati, curiosi e, ovviamente, autori. Che capita di incontrare passeggiando per Corso Vittorio Emanuele II o al bar, in una sosta tra un incontro e l’altro.

Densissimo e vario il programma di quest’anno, che ha visto alternarsi letteratura (una vastissima vetrina di autori italiani e stranieri), economia, scienza, filosofia, storia, poesia, graphic novel ed enogastronomia.

Scegliere è praticamente impossibile: il consiglio è quello di leggere il programma e creare un proprio personale percorso, munendosi di pazienza per affrontare le lunghe file e soprattutto di orologio, per essere in grado di cronometrare al secondo il tempo degli incontri in modo tale da uscire poco prima della fine di quello prescelto e avviarsi di buon passo verso quello successivo.

La giornata di sabato 16 è stata senz’altro la più significativa, celebrando uno degli scrittori stranieri contemporanei di maggior spessore e successo, Emmanuel Carrère, al quale è stato consegnato il Premio Friuladria “La storia in un romanzo 2016”. Prima dell’incontro con l’autore di “Limonov”, “L’avversario” e “Il regno” (l’ultimo in ordine di tempo), significativi sono stati tuttavia almeno due presentazioni. La prima è stata quella con Serena Vitale, scrittrice, traduttrice e grandissima conoscitrice del mondo russo. Accompagnata da Nicola Lagioia, recente vincitore del Premio Strega, Serena Vitale ha tratteggiato un ritratto inedito di Vladimir Majakovskij, poeta russo rivoluzionario morto nel 1930. Nel suo “Il defunto odiava i pettegolezzi”, la Vitale racconta di un Majakovskij – ingiustamente considerato un poeta di “regime” – innamorato in egual misura di donne e rivoluzione, che nella sua scrittura- istintiva e quasi “fisica” – trasferiva un’urgenza comunicativa immediata e priva di filtri.

Dall’universo russo degli anni ’30, il passaggio al Portogallo degli anni ’40 porta la firma di David Leavitt, uno degli scrittori statunitensi contemporanei che meglio hanno saputo, dall’esordio degli anni ’80, confrontarsi con grandi temi come la famiglia, l’amore, l’omosessualità e le relazioni sociali. L’autore di “Ballo di famiglia”, dopo 7 anni di silenzio, torna alla pagina, con “I due Hotel Francforts”, ambientato a Lisbona nell’estate del 1940, subito dopo l’occupazione tedesca di Parigi, quando la capitale portoghese – l’unica da cui era possibile salpare in nave o aereo verso Stati Uniti e Sud America – divenne uno luogo in cui si affollavano scrittori, pittori, filosofi e musicisti, decisi a scappare oltreoceano. L’ombra della dittatura di Salazar accompagna la vicenda di due coppie, intrecciando così la storia intima e personale con la Storia collettiva e mondiale. Da una scrittura, quella degli anni ’80, in cui predominante era l’urgenza di fare coming out e dichiarare la propria omosessualità, Leavitt ha raggiunto oggi una visione più matura, in cui lo spazio per il riconoscimento sociale delle coppie di fatto possa trasformarsi da auspicio a realtà.

Si è aperto carico di aspettative l’incontro con Emmanuel Carrère: lo scrittore francese ha presentato “Il regno”, opera a metà strada tra il saggio ed il romanzo, dedicata alla nascita del cristianesimo. La personale esperienza di Carrère, “cristiano per tre anni” e poi tornato non credente, rappresenta il punto di partenza per una riflessione che, tuttavia, l’autore ha precisato di non voler trasformare in analisi sociologica né tantomeno accostare al dibattito contemporaneo sul fanatismo religioso e sui fondamentalismi. Semplicemente, ha affermato Carrère “spero di essere un miglior cristiano oggi, non credendoci, di quando lo ero stato credendo”, affidando ad una sottile sintesi, enigmatica almeno quando il suo sorriso, il compito di tracciare una sintesi del suo lavoro.

A chiudere la giornata, uno degli fumettisti italiani di maggior successo: in mezzo al pubblico, visibilmente imbarazzato, Zerocalcare, in arte Michele Rech. Vero e proprio caso editoriale esploso nel 2011, con “La profezia dell’armadillo”, prodotto dal collega Makkox, e seguito da “Un polpo alla gola” e “Dimentica il mio nome”, Zerocalcare ha saputo, involontariamente – come spesso afferma – far emergere un genere, la graphic novel, che in Italia sembra muoversi in sordina, viaggiando in una zona d’ombra parallela, che meriterebbe, forse, maggiore attenzione ed visibilità, rivelando prospettive intimiste ed uno sguardo sulla società forse più attendibile di tante riflessioni autorevoli.

Caterina Vianello

20/09/2015

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