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“Ponte della Libertà? Va distrutto”, la proposta-provocazione di Venessia.com

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"Ponte della Libertà? Va distrutto", la proposta-provocazione di Venessia.com

Il Ponte della Libertà va distrutto. Così Venessia.com per superare il Funerale di Venezia 10 anni dopo e ripartire.

Si è così svolto ieri nella sala San Leonardo “Mea culpa – 10 anni dal funerale di Venezia”, l’incontro di Venessia.com sulla residenzialità.

In una sala gremita di cittadini si è partiti con Cesare Colonnese (nella foto sotto) – il volto dell’evento del 2009 – che nel suo monologo ha dichiarato guerra ai piagnistei da social network, a chi denuncia senza agire o, peggio, a chi predica bene e razzola male.

Perché, in fondo, “ciò che ha rovinato la città è l’ingordigia di quei Veneziani che oggi si lamentano”. E per chiuderla con il pessimismo, ha simbolicamente cinto con un drappo della Fenice, simbolo di rinascita, la bara rosa che dieci anni fa fu condotta a Ca’ Farsetti.

matteo secchi raccolta firma demolire ponte libertà box nostra
La parola è passata a Matteo Secchi (nella foto piccola), presidente di Venessia.com, che ha invitato i presenti a firmare per la demolizione del Ponte della Libertà. “Perché Venezia è un’isola, e non deve più essere collegata con nessun artificio alla terraferma”. Una trovata goliardica che farà sicuramente discutere, ma che in una settimana ha già raccolto 50 adesioni.

A seguire è stato proiettato il video di Stefano Soffiato che, sulle note de “La Serenissima” ha riassunto le fasi che animarono il Funerale. La voce fuori campo di Giorgio Bertan ha ricordato che il destino di Venezia deriva dalle scelte ognuno di noi, noi che “diamo sette o otto appartamenti ai turisti e attacchiamo lo striscione ‘di qui non mi muovo’, che “ci trasferiamo a Mirano in una bella villetta”, che “l’altra casa in Campo Ruga la facciamo affittare a nostra nipote che con il computer ci sa fare”. Perché “Venezia sa spussa, ma pecunia non olet”.

L’incontro è poi entrato nel vivo con il dibattito pubblico moderato da Davide Bozzato.

Il primo a prendere parola è stato lo storico Nicola Bergamo, che ha ricordato come Venezia abbia sempre importato residenti dai territori vicini come la Dalmazia ma soprattutto il Friuli. “L’esistenza della Serenissima – ha spiegato – era legata al suo centro produttivo, cioè il commercio. Dopo ogni pestilenza c’era bisogno di nuovi artigiani, osti, bottegai, altrimenti la città si sarebbe fermata; il passaggio di consegne avveniva tramite la trasmissione dei saperi ma soprattutto grazie a sgravi fiscali sulla reintroduzione dei mestieri”. Pratiche che in tempi recenti si sarebbero del tutto estinte.

È poi toccato a Matelda Bottoni, segretaria provinciale dell’Unione Inquilini, che nel 2013 ha reso note le proprietà dei vari enti nel Comune di Venezia: “ho portato alla luce 1.000 appartamenti sfitti, 300 dei quali sono stati riassegnati. Dalle mie ricerche è inoltre emerso che il 30% del patrimonio immobiliare insulare appartiene alle istituzioni religiose.”

Ma il dato più inquietante non proviene né dal settore pubblico né da quello ecclesiastico (“non parliamo male della Caritas: ci danno una mano, senza di loro saremmo in difficoltà”) bensì dagli affitti privati: “Ogni giorno ci sono a Venezia 6 o 7 sfratti con la forza pubblica – ha proseguito la Bottoni – 2 dei quali avvengono in Centro Storico. Ma non si parla più di morosità: il vecchio proprietario muore e gli eredi cambiano destinazione, comunicando agli inquilini che il contratto non verrà rinnovato”.

E il fine è sempre lo stesso: B&B o affittanze brevi.
“Gli eredi agiscono con codardia – ha continuato la Bottoni – vendendo la casa alle società turistiche, esentandosi dall’informare chi ci vive che dovrà lasciare la Laguna. Perché quelle persone non riusciranno mai più a ricollocarsi nel Centro Storico: ecco perché resistono”.

Secondo la Bottoni (seconda da destra nella foto in alto), il periodo più difficile deve ancora venire “le disdette dei proprietari crescono in maniera esponenziale: da qui a tre anni avremo una vera emergenza abitativa”.

L’ultimo intervento è stato di Emanuele Dal Carlo di Fair B&B, una piattaforma turistica diversa che nasce dal concetto di responsabilità sociale. “A Venezia – ha spiegato – ci sono 9.000 locatori turistici per un indotto annuale di 230 milioni di euro. E il 15/20 percento va ai portali: una fetta che l’erario italiano non lo tocca nemmeno. Noi invece quella parte vogliamo restituirla alla comunità”.

Dal Carlo ha proseguito spezzando una lancia a chi dà un appartamento ai turisti per permettersi di vivere in Laguna “Le amministrazioni non forniscono alcun vantaggio a chi affitta a residenti. Ma a rovinare Venezia è stata l’ingordigia: c’è chi affitta 4 o 5 case; noi accettiamo solo chi fornisce un unico immobile”.

Perché in Centro Storico non c’è bisogno solo di turismo, ma “di professionisti che seguano il modello propositivo che arriva dall’estero. Venezia deve creare i presupposti per l’avvio di start-up come avviene in altre zone del Mondo,”.

Dopo l’incontro, Matteo Secchi è tornato sulla proposta di demolire il Ponte della Libertà. L’iniziativa di Venessia.com, seppur goliardica, proverrebbe da motivazioni serie: “io sono per la democrazia – ha dichiarato – e vorrei che anche il turista più neto rovinà vegna a visitar Venessia. Ma la vox populi veneziana si lamenta per i troppi turisti e per il loro basso livello economico? Con l’isolamento della città avremmo una selezione tra i 40.000 che arrivano in giornata e quelli con la grana, che sarebbero davvero intenzionati a visitarci. Vuoi venire a Venezia? Prendi la barca. Lo stesso vale per chi vive in Terraferma, che guadagna – tanto- a Venezia e spende – poco – a Mestre: in Centro Storico deve venire ad abitarci. Naturalmente sta all’amministrazione creare le condizioni per vivere decentemente a Venezia, non certo spendendo mille euro al mese d’affitto – come faccio io.”

Nino Baldan

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