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Mommy di Dolan, la malattia che imprigiona e lo libera allo stesso tempo. Di Giovanni Natoli

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Verso la metà del film “Mommy”, diretto dall’enfànt prodige Xavier Dolan (26 anni e già sei film all’attivo), c’è una scena che esplicita con chiara sintesi il senso del film e la funzione del protagonista maschile, un diciassettenne con gravi disturbi dell’attenzione e incapacità di controllare gli impulsi violenti.

Sull’onda fragorosa di “Wonderwall” degli Oasis, Steve veleggia sul longboard lungo un viale alberato. Braccia aperte, occhi chiusi, totale fiducia sulla sua invulnerabilità. Dietro di lui la madre e la dirimpettaia, che lo seguono amorevolmente. E’ chiaro che la malattia di Steve, il disturbo che lo imprigiona e lo libera allo stesso tempo, ha un carisma così pervasivo da unire i destini delle due protagoniste.

Per chi non lo avesse ancora visto , “Mommy” è la storia di una madre, Diane (Anne Dorval), il figlio Steve (Antoine-Olivier Pilon) e Kyla, la dirimpettaia (Suzanne Clément).
La prima è quella che oggi si definirebbe una “Cougar”, una quasi cinquantenne dal look aggressivo e giovanile, una di quelle donne cui basta un colpo di rossetto per diventare bellissime, che si barcamena da un problema all’altro mostrando un po’ di cosce, molto coraggio e una flessibilità senza fine verso ogni tipo di lavoro e verso svariate umiliazioni.

Il figlio è un’incontrollabile malato mentale, che passa dal vitalismo più acceso alla disperazione suicida in un attimo di secondo. La dirimpettaia è una insegnante timida fino alla balbuzie, in anno sabbatico.

Il film ha conquistato la giuria dell’ultimo festival di Cannes, che ha insignito il regista del premio della giuria come miglior regista, in ex aequo con il grande vecchio della nouvelle vague Jean Luc Godard.

“Mommy” inscena un triangolo amoroso guidato…

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