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Molecole, di Andrea Segre: chiuso a differenti prospettive

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“Molecole”, il nuovo lavoro di Andrea Segre, presente in anteprima alla passata Mostra di Venezia, è un docufilm sui generis. Un viaggio alla ri-scoperta di Venezia che in realtà é un viaggio alla scoperta del padre del regista.
Padre silenzioso e segreto come la città che il regista cerca di capire. Lui padovano da genitore veneziano.
È naturale quindi che il regista si ponga in soggettiva nei confronti del racconto. Non solo per la scelta del punto della cinepresa; non si tratta di una regia “invisibile”; tutt’altro.

Segre é perennemente in posizione di interlocutore del passato e del presente, delle assenze e delle trasformazioni di un uomo e di un luogo. La cinepresa sottolinea sempre la presenza dei suoi occhi e l’assenza di un corpo che cerca di costruirsi un’identita fisica possibile solo traguardando il mistero paterno.

Ma come spesso capita durante un viaggio, specie se programmato fino all’ultimo dettaglio (Segre durante il film confessa la sua nevrotica programmaticità a scanso di sorprese) durante il percorso i fatti possono cambiare imprevedibilmente. E in questo caso il nome del cambiamento si chiama coronavirus.
Segre si è trovato improvvisamente a dover fare i conti con un “inaspettato” che ha colto tutti noi di sorpresa e che in brevissimo tempo ha letteralmente trasformato Venezia da città stipata, strangolata dai turisti a un deserto di cui ormai si era persa memoria.

E credo che questa epifania del fato abbia preso in contropiede l’autore. Il regista pare costantemente troppo preoccupato di far coincidere i silenzi di un genitore, scomparso sin troppo presto e per un male congenito che sembra aver condizionato l’intera esistenza anche sul piano intellettuale, ai silenzi di una città che cattive memorie vorrebbero rivederla ritrovata a se stessa.

A mio parere il peccato non veniale di “Molecole” sta anche in questa seduzione che anche i testimoni intervistati nel film sembrano avallare. Ma era davvero cosi Venezia? Io non penso. Io non ricordo affatto.
Venezia pre-turismo non assomigliava a quella desertificata dal virus. Era una citta viva e allegra, lieta della sua multiformità. Non solo malata del “morbo aznavouriano” che la vede eternata nel ruolo di afflitta regina.

È un’interpretazione coartata quella di Segre che, da bravo testardo programmatico non intende cambiare programma. E in effetti il materiale filmato durante il lockdown sembra inevitabilmente raccogliticcio e non esaustivo. Con testimoni che poco dicono sul mistero di Venezia e ancor meno sul lockdown. Per forza di cose. Probabilmente qualche mese se non un anno di riflessione sulla città trasformata avrebbero permesso a “Molecole” di risultare piu completo e profondo. Perchè Segre è un autore onesto, personale e capace di dare di più

Se la citazione da Camus (filosofo amato dal padre) sul dover accettare la parte assegnataci dal destino resta pertinente nei momenti riusciti di “Molecole”, è il “destino” di Venezia durante il nuovo morbo che andava interrogato meglio.
L’impressione è quella di un racconto che denota un’enpasse postadolescenziale, chiuso a differenti prospettive, regressivo nel falso ricordo di un tempo che non fu.

Giovanni Natoli

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