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Mignonnes (Cuties), titolo “caldo”, ma è da vedere

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Eccoci giunti a “Mignonnes” il titolo “caldo” dell’offerta Netflix; racconto di formazione di Amy, undicenne senegalese divisa tra la cultura patriarcale della famiglia e l’incontro con quattro coetanee appassionate di danza hip hop e twerking che sono le pecore nere della scuola che frequenta e che ai suoi occhi incarnano un modello di libertà e maturità.
Perché definisco “caldo” il film di Maimouna Decourè?
“Mignonnes” è ancora al centro di roventi polemiche perché mette in scena immagini che si presumono ipersessualizzate delle giovani protagoniste.
Il caso nasce proprio dalla presentazione su Netflix che sceglie la veste americana del film, intitolata “Cuties” con annessa locandina, in cui vediamo le protagoniste in posa con i costumi del balletto finale, mentre in quella francese abbiamo un frame dove le protagoniste guadagnano una salita, sorridenti e festose.
Personalmente consiglio di vedere “Mignonnes”, lasciando da parte ogni polemica.
Se talvolta ciò che vediamo può lasciarci un po’ sgomenti forse dovremmo fare un nuovo tagliando per il mondo reale.
Il fatto che “«Non ci sono scuse per la sessualizzazione dei bambini, e la decisione di Netflix di promuovere il film Cuties è rivoltante come minimo se non un vero e proprio reato» fatta dal senatore Tom Cotton dà l’impressione che taluni non sanno vedere il film nel suo complesso e come lettura della realtà.
Peraltro, sia alla sua presentazione al Sundance festival che all’uscita nelle sale francesi il film non aveva suscitato alcuna polemica. Viene da dire:

”Ma di cosa stiamo parlando?” a questo punto.
“Mignonnes” affronta un argomento difficile ma per forza di cose ‘eterno’; diventare grandi.
Lo fa con stile tipico del cinema realista francese contemporaneo; quindi niente guizzi registici, se non qualche piccolo momento di realismo magico, e molta camera addosso ai personaggi.
La regista preferisce concentrarsi sugli esseri umani, su Amy che patisce una scissione dolorosissima che la porterà a compiere delle scelte estreme ma a cui è garantita una via d’uscita.
Certo, mettere in scena alcune ragazzine che inseguono modelli artistici in cui la sessualizzazione dei videoclip è superiore a ogni formula musicale proposta comporta non pochi rischi. Ma mi sembra che la regista confidi nell’intelligenza dello spettatore.
È impossibile raccontare questa storia senza “mostrare” (e aggiungo che non ci sono scene di nudità, sesso o violenza); le quattro “mignonnes” vestono abiti succinti e si muovono come Nicky Minaji o Jennifer Lopez ma Docourè non fa altro che registrare le cose così come sono e porgercele per attivarci in una riflessione non tanto sui “costumi scandalosi” quanto su un problema di identità di una undicenne figlia di immigrati senegalesi, confusa tra tradizione e modernità, confusa col suo corpo che cresce e che vediamo ora coperto da un velo ora esplodere con top rosso, pantaloni aderenti di pelle e chioma riccioluta finalmente libera di fluttuare.
Tutto nel film è necessario per portare avanti il discorso; non c’è pornografia nella messa in scena.
Per ogni balletto in cui

le ragazzine mimano le mosse lascive delle dive pop abbiamo sempre la reazione contraria che raffredda ogni presunta velleità voyeuristica.
C’è, piuttosto, un sapiente crescendo narrativo verso la libertà di una giovane donna, capace di vedere le contraddizioni della realtà che viene offerta ai suoi occhi ma che è spesso priva di armi che le permettano di capire, difendersi o evitare di restarne soggiogata.
Tutto questo in un universo che offre soluzioni ora repressive ora fittizie e conformistiche alla complessità delle richieste dei corpi.
Corpi che non trovano libera espressione ed espansione in un ambiente che del corpo e della libertà non vogliono saperne se non nella negazione del femminile, del pericoloso corpo della donna; sia che si parli di tabù e regole tradizionali che dell’impacchettamento consumistico in cui gli abiti succinti valgono tanto quanto le prigioni culturali.
Si potrebbe discutere all’infinito su cosa mostrare o non mostrare al cinema, che della vita è un simulacro e una condensazione espressiva,

in cui è inevitabile raccogliere i fatti salienti e a scegliere prospettive per “mostrare” un discorso. Ma alla fine ciò che di “Mignonnes” resta non sono delle ragazzine in shorts e top ridottissimi bensì lo sguardo amorevole e partecipe della regista che alla fine dei conti ci regala un’oasi di salvezza che, a mio parere, demolisce ogni polemica.




MIGNONNES-CUTIES-DONNE AI PRIMI PASSI
(Francia, 2020)
Regia: Maimouna Docourè
Con: Fathia Youssouf, Medina El Aidi-Azouni, Maimouna Gueye, Esther Gohourou

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