La vita oscura e insieme luminosa della Parola ha occupato gli spazi dei miei settant’anni vissuti al capezzale del suo senso e io, seduta in quel posto sempre vuoto, ho atteso che mi parlasse, che mi mostrasse il volto della Poesia.
In fondo sapevo che era solo un gioco e mi piace mettere questa parola insieme alle tante che gioco non sono. Lo sapevo che il sipario del teatro non si sarebbe alzato e che la platea era invisibile, sapevo che la Parola aveva respinto il suono e che io non volevo sentirlo, conoscerlo davvero.
Vuoto il leggio di questo palcoscenico composto di lettere appassite sul mio corpo incolore, scansato da un gracidare di rane intente a rubarmi il cuore, per riporlo nello stagno.