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Memorie di un’ orsa polare – Tawada ci insegna a ritrovare la nostra natura

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memorie di un orsa polare

Abbiamo parlato poco tempo fa di un libro bellissimo e soprendente come La vita segreta delle mucche di Rosamund Young, dove abbiamo imparato a guardare il mondo dal punto di vista di questi animali e altri appartenenti al microcosmo della fattoria. Ora, invece, vi vorrei parlare di un altro libro simile anche se diverso negli intenti e nelle modalità di scrittura in cui mi sono imbattuta e di cui non potevo non parlarvene.

Si tratta di Memorie di un’orsa polare di Yoko Tawada, edito da Guanda, in cui tre talentuosi orsi bianchi sono i protagonisti di travagliate esistenze che attraversano un secolo di storia. La prima è la matriarca, stella del circo sovietico, che dopo il ritiro dalle scene scopre il piacere di ritrovarsi sola con la sua penna stilografica: la sua autobiografia farà di lei una scrittrice di successo. Sua figlia Tosca, nata in Canada, si trasferisce nella Germania orientale, dove dà spettacolo come provetta ballerina di tango nei circhi. La sua storia ci giunge attraverso la voce dell’addestratrice Barbara, con cui ha stabilito un legame viscerale che dai sogni arriva fino al palco. Infine Knut, il figlio che Tosca abbandona per seguire la sua vena artistica, si ritrova affidato a un altro mammifero, il custode dello zoo di Berlino, e cresce assediato da giornalisti e visitatori, diventando, suo malgrado, il simbolo delle ansie per il destino del pianeta.

Probabilmete è una prerogativa dei libri che hanno protagonisti gli animali, ma anche questa opera, come quella della Young, è assolutamente deliziosa, magica, profonda, originale ed intelligente. Tawada, infatti, grazie all’utilizzo degli orsi come protagonisti, riesce a raccontare il problema dell’integrazione in maniera tutta nuova, arrivando al lettore nel modo più autentico possibile.

Quante volte anche noi ci siamo sentiti fuori posto? Quante volte ci siamo sentiti degli elefanti in delle gioiellerie? Quante volte abbiamo vagato alla ricerca del nostro posto dove finalmente poter essere noi stessi senza essere guardati male? Questi orsi protagonisti siamo noi, ma anche un occhio esterno che permette all’autrice di raccontare l’essere umano, sia quello sapiens che quello più bestiale, in maniera quasi disincantata, esterna, elevata, da un punto di vista di quegli animali che sono stati strappati alla loro natura, ma che hanno saputo adattarsi ed integrarsi, senza mai però sentirsi a casa davvero.

“[…] Nel processo durante il quale un animale si trasforma in un non-animale, o un uomo in un non-uomo, la memoria va perduta, ed è questa perdita la vera protagonista.”

Tawada vuole dare un messaggio ben preciso, vuole mettere a confronto uomo e bestia senza per questo porre uno più in alto dell’altro, ma vuole invitare il lettore a guardarsi attorno e a vedere il mondo con gli occhi degli animali che, anche estrapolati dal loro habitat, sono in grado di adattarsi, di superare le barriere senza mai guardare l’altro come qualcosa di ostile, ma cercando di capirlo e conoscerlo.

Memorie di un’orsa polare è uno di quei rari libri che sono in grado di raccontare l’essere umano, il suo stato sociale, attraverso la metafora animale senza ma risultare grotteschi, ma invitando il lettore a guadarsi, comprendere la propria natura più intima e (in)seguirla, perché solo così potrà davvero (ri)trovare casa.

Sara Prian

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