”Voglio essere l’ultima ragazza al mondo con una storia come la mia”.
Per parlare di ”L’ultima ragazza” il romanzo di Nadia Murad (Mondadori, pagg. 348, 20€), è bene partire dalla sue parole conclusive. Dopo aver subito angherie e soprusi di ogni genere, questa testimonianza vuol essere il monito al dire ”Mai più”, un grido disperato di sofferenza per la famiglia, il popolo e la religione di Nadia, con una speranza, chiamata giustizia. Ma andiamo per ordine, è bene prima sapere chi è questa ragazza.
Nell’agosto 2014 la tranquilla esistenza della ventunenne yazida, Nadia, del Sinjar, (regione dell’Iraq settentrionale), viene improvvisamente sconvolta: con ferocia, i militanti dello Stato Islamico irrompono nel suo villaggio, incendiano le case, uccidendo quasi tutti i maschi adulti e rapendo le donne. Per lei e altre centinaia di ragazze, giovanissime e vergini, inizia un vero calvario. Separate dalle madri e dalle sorelle sposate, vengono private di ogni dignità di esseri umani: per i terroristi dell’ISIS saranno soltanto sabaya, schiave, merce da vendere o scambiare per soddisfare le voglie dei loro padroni.
Oggi Nadia è una donna libera, che ha scelto con coraggio di denunciare al mondo intero il genocidio subito dal suo popolo.
Il romanzo è diviso in tre parti: il preludio, quasi fin troppo breve fatto di famiglia, legami, amore; il lirismo, la sofferenza, la parte più importante e crudele del romanzo ed infine la fuga (letteralmente fuga), per la salvezza, con il lieto fine per lei ed alcuni suoi familiari.
La parte più toccante è senza dubbio dove racconta la prigionia, gli stupri selvaggi, le torture fisiche e psicologiche, insieme al continuo pensare alla famiglia, al saperli lontani e a non conoscere il loro destino. La scrittura di Nadia arriva dritta al cuore, ma è anche selvaggia e arrabbiata: attraverso le sue parole si soffre, si ama e si cerca la libertà.
”L’ultima ragazza” è un libro che va vissuto completamente. Il lettore soffre quasi quanto la protagonista, la segue nel suo viaggio, arriva al punto di combattere, di parteggiare e volerla salvare. Quelle sue tremende sevizie le hanno lasciato cicatrici indelebili sia sul corpo che nell’anima, ma Nadia, senza peli sulla lingua, senza vergogna, vuol farsi portavoce della sua gente e di tutte le vittime dell’ISIS.
Cioè che traspare non è un messaggio di ribellione vera e propria, è un invito a non cedere alla violenza, a mantenere vive le proprie radici, a non abbandonare ciò che si crede e a non perdere mai le speranze.
Ora Nadia Murad infatti, con la sua grinta e forza di volonta, è stata insignita del Nobel per la Pace 2018, è un’attivista per i diritti umani e prima Ambasciatrice di Buona Volontà dell’ONU per la dignità dei sopravvissuti alla tratta degli esseri umani.
Alice Bianco
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