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Lady Bird, alla fine ha tutte le carte in ordine

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Lady Bird, alla fine ha tutte le carte in ordine

Non si commette nessun peccato ad andare a vedere “Lady Bird”; non si rimpiangono nemmeno i soldi del biglietto. Si esce intiepiditi come una piacevole minestrina calda mentre fuori fa 2 gradi.E Saoirse Ronan è sicuramente capace di dare corpo ed espressioni ad un personaggio come la studentessa Christine McPherson, autonominatasi Lady Bird. Il soprannome è una delle tante stravaganze di questa adolescente “adolescentemente” irrequieta e insoddisfatta, desiderosa di volare e alla ricerca di un equilibrio e con due genitori, psicologicamente dotati di quieta stravaganza.

Il padre, informatico, perde il lavoro; la madre, assistente psichiatrica in una struttura ospedaliera di Sacramento, si fa in quattro per far quadrare le cose. Nel film proprio Sacramento è il suono di bordone che sottolinea il mood in sordina di normale disperazione. Christine sogna di evadere da questo luogo che pur essendo in California è la parte oscurata del sole della West Coast; non ci sono arance grandi come case né surfisti con tartaruga sull’addome. Qualche spinello c’è ma lo si consuma nascosti e infelici.

Potrebbe essere la Baltimora di John Waters o altre soffocanti provincie americane che ben conosciamo. Vorrebbe passare a una prestigiosa istituzione universitaria mentre frequenta un bizzarro liceo cattolico, ora repressivo ora ambientato da figure tenere. Già, potrebbe essere una delle tante storie di formazione che già abbiamo visto al cinema. E in effetti è proprio così. Che poi la regista ci metta del suo è solo un fatto accessorio: ci mancherebbe altro. Vorrei vedere che non fosse così, perché altrimenti meglio rinunciare a vedere il film.

Io però mi chiedo il perché di tante candidature e di tanti premi; va bene, il film non ha una sbavatura ma resta sempre nel regime del minimale grottesco a cui altri film sulla crescita ci hanno abituato. Non ha nemmeno le atmosfere deliranti del mai dimenticato “Napoleon Dynamite”, film che gestiva al meglio la sua origine “Saturday night live” con un personaggio estremizzato nelle sue afasie. E nemmeno la sottile ferocia di “Ghost world” o “Juno”.

“Lady bird” mescola stravaganze e humor a momenti dolorosi (la difficile conciliazione con la madre, il rapporto conflittuale col fratello adottivo, superlaureato che però lavora alla cassa di un supermarket; la crisi lavorativa di un padre tenero, contraltare con una madre per forza di cose dura con la figlia, anche in virtù dello stesso carattere). Ma, ad onta di una certa piacevolezza e alcune scelte “attuali” (il primo ragazzo di Lady Bird si scopre gay) non usciamo dai bagnasciuga di un cinema medio, garbato, talvolta acuto, che fa sorridere e/o riflettere (ahiahi) ma senza colpi di genio. Si fa vedere, fa anche intenerire ma resta che il finale è consolatorio e rimette tutte le carte in ordine.

LADY BIRD
(id. 2017)
Regia: Greta Gerwig
Con: Saorise Ronan, Laurie Metcalf, Tracy Letts

Giovanni Natoli

MOVIEGOER, APPUNTI DI UNO SPETTATORE CINEMATOGRAFICO. DI GIOVANNI NATOLI

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