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La scacchiera di Auschwitz – Consiglio per la giornata della memoria

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La scacchiera di Auschwitz

“Qualcuno deve ricordare questo giorno, esserne testimone” […] “Se dovessi guardare indietro a questo giornata sarebbe per dire che ho giocato a scacchi. Questo… orrore… è troppo chiedermi di ricordarlo”

Ogni anno nella nostra sezione dei libri dedichiamo, in questo periodo, uno spazio a quelle opere che andrebbero lette nel Giorno della Memoria. Stavolta la nostra attenzione è dedicata ad un’opera bellissima, intrigante quanto ben scritta: “La scacchiera di Auschwitz” di John Donoghue edito da Giunti.

L’SS Paul Meissner è trasferito ad Auschwitz dal fronte russo. Una ferita a una gamba lo costringe a occuparsi dell’amministrazione dei reparti SS e dell’efficienza dei campi di concentramento. In particolare, dalle altissime gerarchie del Reich è appena arrivato l’ordine di innalzare il morale delle guardie attraverso attività ludiche ma anche edificanti. Meissner decide così di fondare un club degli scacchi dove le guardie possano sfidarsi; presto però viene a sapere che anche i prigionieri giocano di nascosto e nella fattispecie circolano voci su un ebreo francese, un certo Emil Clément chiamato ”l’orologiaio”, che pare sia davvero imbattibile. Meissner lo incontra e tra i due nasce un rapporto strano che culmina con la sfida più pericolosa e angosciante di sempre: giocare contro le SS mentre in palio c’è la vita o la morte di altri prigionieri. Vent’anni dopo, Emil Clément, ormai scrittore di successo, incontra per caso Meissner ad Amsterdam. Emil preferirebbe non aver nulla a che fare con lui ma Meissner insiste. Che cosa vuole ancora da lui?

Un’intenso montaggio, come se fossimo in un film, un continuo passaggio tra presente e passato, momenti di sospensione tesa che anticipano e che poi vengono risolti dai ricordi. Un libro, questo di Donoghue, che appassiona e tiene incollato il lettore in questo viaggio alla scoperta di un rapporto particolare tra una SS e un prigioniero ebreo.

La sottile linea di confine che demarca il bene e il male, la ricerca di un bene che può nascondersi anche in chi, ci hanno sempre insegnato, essere il cattivo. E’ questo l’elemento sorprendente de “La scacchiera di Auschwitz”, capovolgere la partita e non fare di tutta l’erba un fascio. Cattivo e buono, in questa opera, si connotano di elementi ben specifici, facendo arrivare ben chiaro il messaggio che non esiste una “razza” cattiva o buona, esistono uomini, sono loro quelli in grado di compiere atrocità al di là del loro colore, sesso e via dicendo.

L’amicizia tra Emil e Paul, a cui si aggiungerà poi un altro tedesco Willi, è intensa e solida, come raramente si legge, è un rapporto nato perché doveva nascere, senza la volontà degli agenti in campo, che arriva con forza e potenza e cambia completamente le esistenze. E’ quasi più importante di una storia d’amore, è uno di quei sentimenti che si posa nel cuore senza che nessuno se ne accorge e poi trasforma la vita in maniera prorompente e per sempre.

“La scacchiera di Auschwitz” è un’opera commovente, che ti fa appassionare ai suoi protagonisti, senza dimenticare di lasciare una cicatrice per gli orrori che sono stati commessi, per le privazioni che un’intera generazione ha dovuto subito. Donoghue ci racconta il gioco degli scacchi come via di fuga dalla paura, dall’orrore e dalla morte, sia nel presente che nel passato, una fuga dai propri demoni coinvolgente e che difficilmente vi lascerà indifferenti.

“Lo sai Paul che il bianco può scegliere tra appena venti mosse di apertura? Quella di pedone di re è un’apertura potente. Si ottiene una posizione di dominio al centro della scacchiera e sia la regina che l’alfiere sono liberi”
“E’ un bel pensiero” disse Meissner
“Quale?”
“Essere liberi”

Sara Prian

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