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La Naneide – L’emozione Odissea di Roan Johnson per il figlio

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Prima ci fu Enea che si mise sulle spalle suo padre Anchise fuggendo dall’incendio di Troia e aprendo l’Eneide, poi ci fu Ulisse che di ritorno da Itaca incontra dopo 20anni Laerte che zappava la terra nell’Odissea. Ora nel 2019 c’è l’impresa di Roan Johnson e Ottavia, le cui prodi gesta per il figlio vengono narrate ne La Naneide, edito da Mondadori.

Un tempo fare figli era la cosa più naturale al mondo, adesso è diventata la scelta più complessa della vita. Nel giro di cinquant’anni il mestiere più difficile del mondo è diventato tutto un altro sport, con regole e sfide completamente diverse. La coppia di questo libro infatti fa un figlio tardi perché ha paura che il Nano in arrivo sconvolgerebbe le loro vite, poi ci pensa e ci ripensa e alla fine si trova di fronte alle mille novità e possibilità di questo tempo, a partire dalla prima: in quale ospedale partorire? Quello più fricchettone dove ti lasciano dormire con il neonato o quello dotato di reparto di Neonatologia e anestesisti che agiscono nel nome di “Santa Epidurale”? I protagonisti di questa storia scelgono il secondo. E per fortuna. Perché quando il piccolo Jacopo nasce, paonazzo e urlante (“tre chilozzi e due di Gollum urlante”), si troverà ad aver bisogno di cure specifiche, e nell’istante in cui viene ricoverato il padre realizza che diventare genitori significa anzitutto che la persona più importante della tua vita non sei più tu stesso, ma una creatura indifesa e fragile.

Chi conosce bene lo stile di Roan Johnson sa quello che lo aspetta lungo il percorso: tratti di poesia e tanta ironia per esorcizzare la paura. Un modo di narrare tanto diretto quanto coinvolgente, che abbiamo imparato a conoscere nei suoi film e in Dovessi ritrovarmi in una selva oscura (trovate la recensione QUI) .

Non sono madre ma faccio parte della generazione “Roan”; 30enni-40enni in lotta costante con il mondo, impauriti da un futuro che ci sembra sempre più instabile, ci una generazione in grado di affrontare tutto con ironia, con un “io speriamo che me la cavo”.

Se Ligabue canta che in questo viaggio ci vogliono buoni compagni di viaggio, allora un autore come Johnson è uno di quelli che avresti bisogno di leggere quando i momenti, quelli con la M maiuscola, ti accadono. La Naneide è un po’ questo: un diario di bordo di un uomo con l’animo da ragazzo, che deve affrontare il turning point per eccellenza: diventare padre. A 30-40 anni, nel 2019, forse è la prima volta in cui ognuno di noi si pone la fatidica domanda del “è tempo che metta su famiglia?” con conseguenti risposte: “sì”, “no”, “Forse”, “dai, ho ancora tempo”, e poi arrivano i dubbi “e se lo faccio più in là e il mio bimbo si trova quando ha 20 anni ad avere un genitore che potrebbe essere suo nonno?”. Domande e risposte, tutte giuste, tutte sbagliate, fattostà che ad un certo punto capisci che hai il compagno di viaggio giusto e che è proprio ora di mettersi in moto. Ma come Roan racconta, la vita è in grado di scrivere una sceneggiatura ben più elaborata e ricca di colpi di scena di quella che avevamo in mente.

Eppure La Naneide riesce ad accompagnarci benissimo in questo nostro periodo della vita, sentendo che è tutto un po’ mal comune mezzo gaudio e che anche nella tragedia, se si è insieme, se si riesce a trovare un po’ di ironia se ne può uscire e trasformare tutto in una grande storia da tramandare ai posteri.

Mentre sto per chiudere questa recensione, guardo la paperella di Piuma che mi è stata data durante la premiere a Venezia qualche anno fa e ora, dopo aver letto la Naneide, capisco che quel film che in quel settembre ci aveva emozionato e fatto ridere, altro non era che il bisogno catartico di Roan Johnson di esorcizzare paure ed insicurezze. Così ora, così come nell’antica Grecia. Così come nell’Eneide un figlio salva il padre dal fuoco, così nella Naneide un figlio salva quel padre che ha trovato nella scrittura un modo per sopravvivere anche nei momenti più duri.

Sara Prian

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