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La Famiglia Belier, quasi mai retorica dell’antiretorica

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… Il dramma di Paula è che comunque vada lei è legata a doppio filo coi familiari, svegli sì, intraprendenti pure ma che in lei hanno la “voce”, per comunicare col mondo esterno; sia che si tratti di vendere i formaggi al mercato che di fare da intermediaria presso il medico (la madre ha contratto una micosi nelle pari intime). Cosicché Paula non ha quasi mai tempo per se stessa, data anche l’autoreferenzialità dei suoi agitatissimi genitori (il padre si candiderà addirittura come sindaco).

La trama prende la sua piega quando l’insegnante di canto (Eric Elemosino, che ricordo interprete somigliantissimo di Serge Gainsbourg in un film biografico) scopre, quasi casualmente che Paula ha una bellissima voce. Insomma, Paula è la pecora nera della famiglia, in quanto ci sente e parla così bene da essere un prodigio del canto, papabile per un’audizione a Radìo France nella lontana Parigi. E così la trama si sviluppa sino al tirar delle somme tra situazioni drammatiche, comiche, profonde, di resa e contrattacco contro tutti gli ostacoli della vita, di confronto col sé dei vari personaggi (specie tra allieva e maestro) tra i quali il più grande è proprio quello dei genitori Belier, decisamente egoisti quando si tratta di lasciar andare la figlia.

Non preoccupatevi, sin dall’inizio del film è già scritto che tutto andrà per il meglio; da questo punto di vista non ci son misteri da nascondere, né spoilers che tengano. A occhio si può pensare che “La famiglia Belier” sia una favoletta un po’ strappalacrime un po’ consolatoria. Sì, c’è anche questo; eppure per buona parte il film riesce a convincere. I motivi sono in primis nel personaggio di Paula e nella sua interprete, così convincente nell’interpretare questa Cenerentola dalle palle d’acciaio da meritare tutto il plauso. Poi: abbiamo una sceneggiatura che per ben tre quarti scorre oliatissima e senza lungaggini. A un fatto se ne sussegue un altro, quasi tutti conseguenti, senza né lentezze né affanni, emozionando e divertendo, con un leggerissimo sottofondo volgarotto che non guasta (specie nell’intermezzo del preservativo o su certi entusiasmi da menarca).

Inoltre riesce a non irritarci più di tanto nel fornirci un ritratto anticonvenzionale di una famiglia di sordomuti; non c’è quasi mai retorica dell’antiretorica e se c’è è occultata dalla scorrevolezza del film. Il quale ha tra gli altri pregi quello di farci capire che le canzonette, se rivoltate nel modo giusto, hanno un posto e un senso preciso nella vita di ognuno di noi.

“La famiglia Belier” è un prodotto medio: benché abbia una fotografia alla fratelli Dardenne, benché abbia come corona sulla trama un handicap, ha lo scopo di intrattenere, emozionare, far sorridere gli spettatori. Talvolta è un film cazzone e piacione. La corsa contro il tempo del finale è una cosa troppo vista e troppo banale, anche se sfido chiunque a non tifare per la splendida Paula e magari a cantare assieme a lei le parole di “Je vole” di Michel Sardou, che da “monumento nazionale francese” si trasforma in scansione canora per le vicende del film (e le canzoni son giustamente tutte sottotitolate in italiano).

Strano film questo; prevedibile in ogni secondo ma allo stesso tempo efficace. Furbo e onesto contemporaneamente. Non un grande film, anzi un piccolo film ma con dei pregi e capace di una scena davvero emozionante e serissima. Quella del saggio di fine anno scolastico, che non rivelo. Immagino che il passaparola di molti commossi spettatori permetterà alla pellicola di guadagnare più del previsto, facendo appassionare molti alle avventure della caparbia Paula. Belièr. Che in francese vuol dire “ariete”.

LA FAMIGLIA BELIER
(La famille Belièr, Eric Lartigau 2014)

giovanni natoli columnist la voce di venezia

Giovanni Natoli

26/04/2015

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