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La calle de la Amargura, film di lottatori, nani e prostitute

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La calle de la Amargura, film di lottatori, nani e prostitute

La calle de la Amargura, un film di lottatori, nani e prostitute. Sarebbero potuti essere gli ingredienti di un film originale, divertente o drammatico. Poteva essere tutto, invece purtroppo è stato proprio “La calle de la Amargura”, pellicola messicana di Arturo Ripstein.
La vicenda prende spunto da un fatto realmente accaduto, la morte di due luchadores (lottatori messicani) nani gemelli, uccisi a scopo di rapina.

In un contesto di povertà assoluta, dove le famiglie vivono di espedienti, prostituzione e speranze, si muovono i due protagonisti. Perennemente nascosti dalle maschere, succubi di una madre manager e uniti da un morboso rapporto fraterno che rischia di rovinare i loro rapporti con le mogli.
Attorno a loro, le vite di una coppia di amiche di strada, prostitute ormai attempate che faticano a trovare clienti. Si barcamenano anche sfruttando una anziana donna, costretta a mendicare nonostante la totale incapacità di intendere e di volere.

Quando però la necessità di soldi si fa imperante, i sistemi di guadagno diventano più rischiosi. Poche gocce di un collirio con sostanza anestetica in un drink, l’attesa che faccia effetto e con mano veloce il furto. Via i portafogli, gli orologi e i gioielli delle vittime di torno.
La scelta ricade sui due gemelli, il luogo prescelto: un albergo ad ore. Tutto sembra andare per il meglio, facile, troppo facile per essere vero. Ed infatti la situazione precipita. Unica soluzione per le due coprotagoniste è la fuga, o meglio tentare di scappare.

La trama de “La calle de la Amargura” poteva essere avvincente. Il mondo creato da Ripstein ricorda un interessante e folle mix tra la poetica di Pasolini e Fellini, in un bianco e nero fatto di scene in dissolvenza che ne ricorda anche l’atmosfera.
Quello che non va, è l’atroce ritmo a cui avanza l’intero racconto, che prosegue come un pachiderma carico di elementi che cammina a fatica, tra nani, prostitute, travestiti, ragazze di strada e chi più ne ha, più ne metta.
Una lunghissima introduzione di quasi cinquanta minuti, in cui i personaggi vengono “presentati” ma in cui nulla accade davvero.

Poi all’improvviso, come un fulmine a ciel sereno, il colpo di scena e una discesa verso la soluzione. Rapida, troppo rapida.
In mano ad un altro regista, con un montaggio più veloce, poteva diventare un piccolo cult. Basterebbe pensare che ne avrebbe fatto Alejandro Jodorowsky, altro messicano, con questo materiale a disposizione.

Mattia Cagalli

10/09/2015

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