Incontriamo nuovamente la famiglia Lambert, qualche giorno dopo la conclusione del primo capitolo. Qualcosa ha seguito Josh (Patrick Wilson) dal suo ritorno nel mondo degli spiriti e un misterioso segreto, radicato nel passato del protagonista, continuerà a tormentarli.
Viaggiando attraverso alcune evidenti citazioni, da “Shining” a “Pycho”, “Insidious 2” è un film che è bene dividere i due parti. La prima parte, fortemente legata alla pellicola del 2010, non perde tempo ad introdurci i personaggi ma ci porta immediatamente in un’atmosfera sospesa, tesa, già pullulata da fantasmi e che si barcamena tra l’ovvio e il poco originale, facendo cadere Wan nella trappola dei film di genere, lui che, nel primo capitolo, era riuscito ad evitarlo.
Ma se questa parte ricorda un misto tra “L’Evocazione” e “Paranormal Activity” (soprattutto nelle riprese), la seconda è assolutamente superiore riprendendo lo spirito che aveva reso “Insidious” un piccolo caso cult. Wan, infatti, tira fuori dal suo cilindro di nuovo l’originalità costruendo la seconda metà come se fosse costituita da una serie di scatole cinesi ad incastro, dove piani temporali differenti, passato-passato prossimo-presente, convivono, svelando minuto dopo minuto, con la giusta tensione, la complessa struttura narrativa.
Ed è così che quello che credevamo all’inizio, si ribalta, fornendoci risposte a domande che non ci eravamo nemmeno posti tanto eravamo sicuri fosse quello il percorso, classico, che ci voleva far seguire Wan.
Attingendo da entità non del tutto originali, La Madre e la Black Bride negli ultimi anni le abbiamo viste e riviste, il regista di origine malesiana punta tutto su come queste entità vengono presentate ed incastrate in un architettura che è solo all’apparenza semplice, ma che si aggroviglia sempre di più per poi sciogliersi e condurci fuori dal labirinto come il filo del telefono senza fili conduce fuori Dalton, moderno Teseo, dal labirinto dei fantasmi.
Sara Prian
[12/10/2013]
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