Sapevo chi era, conoscevo i suoi libri, il suo amore per gli animali. Le sue apparizioni pur rare in televisione, a dire, raccontare il mondo degli altri umani.
Poi ho scoperto che abitava vicino a casa mia, quando ancora vivevo a Venezia, a due passi dalle Zattere. Lui usciva di casa con un bel cagnone arancione, robusto e fiero, io con il mio meticcio bianco e nero, Pepé. Ci incontravamo in passeggiata fra san Vio e la Salute.
Pepè era intimidito dalla statura del cane del professor Dànilo Mainardi e io lo tenevo debitamente a guinzaglio. Un giorno, nel salutarci come ogni mattina, mi suggerì di non mettere il guinzaglio al mio cagnolino, di fare come faceva lui, che lo lasciava libero e che davvero non era mai successo niente a nessuno.
L’ho ascoltato, ho tolto ogni laccio a Pepè, che si è avvicinato al cagnone biondo, si sono annusati e hanno proseguito la loro passeggiata con la coda ondeggiante.
Mi piace ricordare questo aneddoto, perché appartiene ad una memoria che resta. Insieme al tratto gentile dell’etologo, al suo grabo, alla sua scienza.
Andreina Corso