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Il nostro 25 aprile: “Storia di Clementina”. Di Andreina Corso

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La seguivano quei piedi neri dentro gli stivali. Sapeva che cercavano il suo papà. Li aveva sentiti parlare fuori l’osteria ai piedi del ponte, avevano detto: “Andiamo a prendere Giorgio P. quel galantuomo di comunista” e nel pronunciare la parola galantuomo avevano riso e poi sputato per terra. Lei si era fermata di colpo, avevano detto Giorgio? Aveva sentito bene? Il cognome era il suo, doveva correre ad avvisarlo. Ma le uscì un urlo prima di mettersi in fuga, un mezzo grido tremante di angoscia che le inflisse due paia d’occhi su di lei. “Ma quella è sua figlia, vedi come le lasciano girare da sole i compagni”. E ancora uno sputo dopo la parola compagni.

Maledetti, maledetti, li chiamava così anche sua madre, le sue gambe sembravano nuotare nel vento, ogni tanto si voltava, non vedeva i due uomini, ma sentiva quei passi tremendi dentro la testa. La nebbia le era d’aiuto, forse riusciva ad arrivare a casa prima di loro, così avrebbe urlato, papà, papà, scappa, ci sono gli uomini neri che ti vogliono ammazzare. E lui l’avrebbe baciata, stretta e ringraziata e sarebbe corso in soffitta a rifugiarsi in quel posto segreto. Ma doveva arrivare prima di quelli là, che dannazione, l’avevano riconosciuta. Le lacrime le si gelavano sulle guance, ma più forte del freddo e della nebbia batteva il suo cuore disposto a tutto, pur di arrivare in tempo. E se non sapessero dove abitavano? Speranza presto abbandonata. Avevano detto andiamo a prenderlo, aveva sentito bene.
Suo padre faceva il maestro di scuola e mai si sarebbe iscritto al partito fascista. Con quelle belve non aveva nulla da spartire, sapeva delle loro angherie verso chi non ubbidiva ai loro ordini, sapeva anche delle botte, della violenza che praticavano su uomini inerti colpevoli di non essere fascisti.

La Storia la fanno gli uomini, si diceva ansimando Clementina, ricordando le parole del papà. Sì e anche le donne, le bambine di dieci anni come me, ripeteva mangiando lacrime di gelo.
Adesso arrivo papà, ti salvo io, teneva a mente attraversando i ponti, sferrando in diagonale sui campi. Dio, fa che non abbia sbagliato strada, invocava, i piedi cominciavano a farle male, le dita gelate sottoposte allo sforzo sembravano sparite, sentiva solo le suole di cuoio delle scarpe che toc tac, toc tac sembravano invase in una corsa senza tempo, non era più lei che comandava il passo, ma le scarpe che avevano capito tutto e non volevano deluderla.

Brave scarpe, bravissime. Clementina si disse che una volta arrivata a casa le avrebbe ringraziate per aver tentato di seminare due paia di stivali lucidi e neri.
Vi odio, vi odio, cantava quasi Clementina e non lo avrete il mio papà. La corsa ormai era un’impresa impazzita, spalancò gli occhi quando riconobbe il pozzo vicino alla sua casa. Si voltò. Non c’era nessun uomo dietro di lei, si nascose per qualche attimo dietro il pozzo per controllare meglio. No, non c’erano ancora gli uomini neri.
Arrivò ansimando a casa, suonò mille volte il campanello, le aperse sua madre.
Mamma, ti prego, avverti il papà che lo stanno venendo a prendere. Il papà di Clementina sentì il trambusto, raggiunse la figlia che tremava e che piangeva abbracciandolo.
“Io non ho fatto niente di male Clementina, non possono farmi niente, non affliggerti!”
“Papà, credimi, erano fuori dell’osteria, mi hanno riconosciuta, hanno parlato di te e hanno sputato per terra, hanno sentito anche le scarpe che mi hanno aiutata, davvero papà, ti prego…”

Il maestro obbedì, salì in soffitta, non per vigliaccheria, ma per amore di sua figlia.
Infatti arrivarono quei due, guardarono la bambina e le dissero che correva forte, ironizzarono dicendo che lo sport era raccomandato anche da Mussolini.
“E il maestro dov’è”, chiesero alla madre.
“Non c’è”.
“Vedremo”.
Clementina e la mamma guardarono quegli uomini che entravano in tutte le stanze, aprivano gli armadi, spostavano i mobili, spadroneggiavano in casa loro.
Il campanile della chiesa vicina emise dieci tocchi, prima che se ne andassero, minacciando che sarebbero tornati.
Il papà di Clementina scese dalla soffitta che si era rivelata un posto sicuro, con due valigie in mano.” Clementina, aiuta la mamma a fare i bagagli. Partiamo”.

Andreina Corso

25/04/2015

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5 persone hanno commentato. La discussione è aperta...

  1. Toccante e commovente! E quante altre storie come questa, a volte con tragici destini, non sono state raccontate … Tempi e situazioni che non vorremmo vedere mai più, anche se in tanti
    luoghi del modo l’imbecillità, l’odio e la ferocia umana continuano a mietere vittime.

  2. Bellissima storia……..
    E’ proprio vero che l’amore ti fa superare ogni ostacolo e ti fa fare scelte anche contro le tue idee, per accontentare la persone che si ama.
    Una storia che riesce a farti percepire lo stato d’animo di quel momento…….

  3. La storia dovrebbe insegnare ……..
    Allora, ora e sempre, quella piccola scintilla di odio annidata nel cuore dell’uomo può improvvisamente scoppiare e travolgere i suoi simili in modo irrefrenabile e assurdo.
    Stragi, carneficine, violenze, continuano a ripetersi nel tempo e in ogni parte del mondo.
    Se abbiamo la fortuna di non esserne coinvolti, diventiamo spettatori sempre meno attivi e più indifferenti, forse perché non crediamo davvero nell’amore.
    Ecco però che nella fragilità di una bambina si nasconde una grande forza che riesce a farle superare ogni paura e ogni avversità pur di salvare il suo papà.
    La forza dell’amore vince sempre, anche quando non lo crediamo possibile e Clementina ne è l’esempio

  4. Corri forte ragazzo, corri
    la gente dice sei stato tu
    ombre bianche, vecchi poteri
    il mondo compran senza pudore
    vecchie immagini, santi stupidi
    tutto lascian cosi com’è
    guarda avanti non ci pensare
    la storia viaggia insieme a te.

    Corri forte ragazzo, corri
    la gente dice sei stato tu
    prendi tutto non ti fermare
    il fuoco brucia la tua virtù
    alza il pugno senza tremare
    guarda in viso la tua realtà
    guarda avanti non ci pensare
    la storia viaggia insieme a te.

    Impara a leggere le cose intorno a te
    finché non se ne scoprirà
    la realtà
    districar le regole che non ci funzionan più
    per spezzar poi tutto ciò
    con radicalità.

    Area – “L’elefante bianco”
    in “Gioia e rivoluzione”

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