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Hungry Hearts, personalità vegane e new age. Di Giovanni Natoli

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Senza prolungarmi nel raccontare la trama, posso dire con tranquillità che “Hungry Hearts” non mi ha fatto rimpiangere di essere arrivato tardi al cinema.

Il film, oltre ad assumere una prospettiva di sfaccettata inquietudine, è nel complesso realizzato col giusto tono e intensità toccante e inquietante. Adam Driver (che ricordo nel magnifico “A proposito di Davis” di Joel e Ethan Coen-era il lungagnone che faceva i buffi controcanti nella scena di “Please mr. Kennedy” e in questo film canta, credo doppiato, “Tu sì na cosa grande” di Modugno) ha l’aspetto fisico giusto e la “gioventù” che compete al suo personaggio.

Alba Rorwacher eccelle nel tratteggiare un personaggio claustrofobico: smunta, ossuta, non bella ma dall’attraente fragilità. Una quintessenza di certe personalità vegane e new age, tutte verdura e Amuchina. Irritante in più parti per l’ottusità della sua “vocazione” ma allo stesso tempo tenera per fragilità esibita. Egoista, senza dubbio, e malata. Il film non ha una prevenzione particolare per nuove religiosità o norme alimentari (il medico di famiglia dice che “non è un male di per sé”). Piuttosto sembra concentrarsi sui perché sottostanti a certe scelte. Così come la volontà di avere un figlio a prescindere, da parte di Jude, fa pensare a una paternità “a tutti i costi”. La figura della madre di lui farà tornare i conti, nella risoluzione finale, ai caratteri e ai perché dei personaggi.

La messinscena offre alcune soluzioni interessanti anche se un po’ didascaliche. Premesso che la camera a mano certe volte traballa un po’ troppo, nella parte centrale, in cui la situazione prende una direzione esasperata, l’uso deformante del grandangolo strizza i protagonisti in modo claustrofobico.

La Rorwacher addirittura diviene un’essere tutto testa con un corpo minuscolo e secco. Didascalico forse ma efficace. Per il resto l’immagine si controlla in una dimensione intimista e “rubata”, salvo quando negli appartamenti della madre (una casa elegante come la concepirebbe un vecchio statunitense) si irradia un controluce quasi kubrickiano.

Un dubbio, un limite del film, che vorrei approfondire in questo “Hungry hearts”, che si sintetizza nel finale. Quanto equidistante è riuscito ad essere il regista? Quale tipo di femminilità ne esce? Siamo sicuri che tutto sia lasciato (come dovrebbe essere) nel dubbio? O forse le donne non ne escono del tutto con le ossa intere in questo film? I piatti della bilancia son pari o pesano meno in quello della femminilità?

HUNGRY HEARTS
Di Saverio Costanzo (2014)
Con Alba Rohrwacher, Adam Driver, Roberta Maxwell

Coppa Volpi miglior interpretazione maschile e femminile

Giovanni Natoli

[01/02/2015]

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Hungry Hearts, personalità vegane e new age

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