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Dimissioni sindaco Marino, Roma al voto in primavera

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Dimissioni sindaco Marino, Roma al voto in primavera

Il sindaco Marino ha resistito finché ha potuto. Ad un certo punto, si è chiuso, asserragliato in un Campidoglio non più casa di vetro ma bunker dove consumare l’ultimo atto. Assediato da quel partito che
neanche tre anni fa lo aveva portato trionfante a Palazzo Senatorio.
Il fuoco, anzi, il bombardamento amico è stato letale per un Marino già fiaccato dal “casus scontrini”.

Alle sette e mezzo della sera Ignazio Marino non è più un sindaco. Tre assessori, ovvero i big della fase due Causi-Esposito-Di Liegro, li aveva già persi nel pomeriggio. L’appoggio di Matteo Orfini era scivolato via già ieri. I consiglieri Pd con i riottosi di Sel si erano ripromessi una mozione di sfiducia. E il fidato Alfonso Sabella, sempre iper combattivo, aveva sfoderato inediti toni dimessi e rassegnati.

La giunta dell’ammutinamento, per chi c’era e la può descrivere, “sembrava il Gran Consiglio del 25 luglio”. Marino è di fatto sfiduciato. “E’ meglio andarsene, così non si può”, gli dicono i tre assessori spediti da Renzi a dare l’ultima chance all’irregolare Marino. Il sindaco pare non abbia battuto ciglio.

Il sindaco Marino non aveva avuti, fino a quel momento, neanche un attimo di cedimento. Sguardo fisso davanti. Mai dare soddisfazione al nemico. Perché è il nemico ora quello che Marino ha davanti. Altro che il Pd.

“Le mie dimissioni non sono una resa- scrive nero su bianco il già ex sindaco Marino- e temo che dopo di me torni il meccanismo corruttivo-mafioso”. Tagliente e per niente sconfitto. Anzi Marino lascia anche uno spiraglio. Che suona come un avvertimento. “Presento le mie dimissioni -scandisce- sapendo che queste possono per legge essere ritirate entro venti giorni. Non è un’astuzia la mia: è la ricerca di una verifica seria, se è ancora possibile ricostruire queste condizioni politiche”.

Il sindaco, che da giorni taceva, è un fiume di parole in piena. “In questi due anni ho cambiato un sistema di governo basato sull’acquiescenza alle lobbies, ai poteri anche criminali -scrive- Tutto il mio impegno ha suscitato una furiosa reazione. Sin dall’inizio c’è stato un lavorio rumoroso nel tentativo di sovvertire il voto democratico dei romani. Questo ha avuto spettatori poco attenti anche tra chi questa esperienza avrebbe dovuto sostenerla. Oggi quest’aggressione arriva al suo culmine. Ho tutta l’intenzione di battere questo attacco e sono convinto che Roma debba andare avanti nel suo cambiamento”. Insomma per Marino non è finita.

Matteo Renzi è a Bologna quando lo avvisano da Roma che Ignazio Marino ha finalmente lasciato. Una distanza, anche plastica, da una figura dalla quale da mesi il premier ha preso le distanze, chiudendo i rapporti e decretando la sua incapacità politica.
“In un modo o nell’altro questa storia deve finire” era l’indicazione che Renzi aveva lasciato ai suoi, pronto ad andare fino in fondo, fino alla mozione di sfiducia nell’Aula Giulio Cesare, se il sindaco non avesse fatto da solo il passo indietro.

Sulle incapacità amministrative di Marino, Renzi non aveva dubbi da mesi. Ma, raccogliendo le pressioni di Matteo Orfini, aveva deciso di tenere a galla il sindaco di Roma, puntellandolo con il ruolo di Franco Gabrielli per il Giubileo e del vicesindaco Marco Causi.

Renzi ha deciso che Roma andrà al voto in primavera ed è già al lavoro per trovare a breve il candidato
migliore.

Mario Nascimbeni

09/10/2015

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