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Diari, mostra fotografica di Ioan Pilat a Villa Pisani di Stra (Venezia)

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sempre dettato dall’intenzione dell’autore di comprendere fino in fondo il soggetto prescelto.
Allora anche i personaggi più schivi e reticenti all’obiettivo della macchina fotografica si abbandonano a quest’ultima, e si esprimono nelle pose più autentiche. In quegli attimi tanto rari quanto fugaci, la strada attraverso la quale il fotografo può realizzare il suo sogno inizia pian piano a delinearsi. Da quel momento in poi sarà più facile, per lui, raggiungere quell’ideale della rappresentazione che conserva in fondo allo sguardo e al cuore.
Espressioni cercate e teatrali si alternano ad altre più intime, fugaci. Alcuni soggetti appaiono spogliati della loro immagine pubblica, altri sembrano rimossi dalla loro quotidianità per risplendere di una luce nuova, più autentica. In un atto estetico e, al contempo, profondamente introspettivo. 

Ioan Pilat è un fotografo di consapevolezze complesse, di qualità molto alta, di passioni anche estreme. Le sue immagini sono di quelle che restano nella memoria. Se siano davvero realistiche non importa, i realismi sono molti e proprio Ioan Pilat ne ha sperimentati diversi per giungere alla qualità delle sue raffigurazioni, ma ha anche vissuto da vicino; la fotografia della astrazione, quella delle avanguardie.
Come pensare dunque che siano nate queste foto che analizzano le persone, non i mestieri delle persone, se non da una partecipazione attenta allo spazio del loro lavoro, dalla comprensione della loro fatica? Come non pensare a quello che suggerivano a chi come questo fotografo sa andare al di là della pura essenza visiva.
Ioan Pilat ha una sapienza diversa rispetto a tanti fotografi impegnati, sa fermare il tempo e sa condensarlo nelle fotografie.
Autoironia, disagio, compiacimento, perplessità! Sono solo alcuni tra i molti sentimenti suscitati da questa serie di ritratti.
Ioan Pilat va oltre il ritratto, nel significato che tradizionalmente diamo a questo linguaggio della fotografia. Per realizzare queste immagini, il fotografo sembra aver utilizzato metaforicamente uno specchio, facendone la barriera corporea che separa dal soggetto, generando un effetto che rimanda al mittente la propria immagine. E il riflesso, l’altra faccia di sé, disegna la nuova identità, inevitabilmente diversa da quella pubblica, che i personaggi sono soliti dare di loro stessi.
La vocazione seriale di questo lavoro conferisce a personaggi, tanto diversi tra loro, l’identità in una mostra che, nella purezza del bianco e nero non rielaborato dagli artifici della post produzione digitale, restituisce l’immediatezza del momento della ripresa, la forza dell’attimo fuggente, la magia dell’incontro del personaggio con se stesso!
Come scrisse il grande letterato portoghese Fernando Pessoa, alla fine di questa giornata rimane ciò che è rimasto di ieri e ciò che rimarrà di domani; l’ansia insaziabile e molteplice dell’essere sempre la stessa persona e un’altra.
La vera fotografia cioè quella artistica non riproduce ma interpreta rendendo visibile l’invisibile. Anche se l’invisibile non è il

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